La bambina anziana: Lana al-Sharif e l’anatomia di una tragedia umana

18.05.2025

Khan Younis, sud della Striscia di Gaza. Lana al-Sharif ha dieci anni, ma i suoi occhi raccontano una vita di sofferenza che pochi adulti potrebbero sopportare. I suoi capelli, una volta neri, sono ora segnati dal bianco, e macchie sulla sua pelle parlano di un corpo consumato dal trauma. In quello che avrebbe dovuto essere il tempo dell'innocenza, Lana è diventata nota nel suo campo profughi come "la bambina anziana".


La storia di Lana è quella di un'intera generazione intrappolata in una tragedia che il mondo ignora o sceglie di non vedere. Nel gennaio 2024, un bombardamento israeliano vicino alla sua casa ha scatenato in lei un attacco di panico violento. Il trauma, troppo grande per il suo corpo e la sua mente, ha innescato una malattia autoimmune, la vitiligine, che ha lasciato segni visibili sulla sua pelle.

Oggi Lana vive con la sua famiglia in una tenda a Khan Younis. Hanno perso tutto: la casa, la sicurezza, la speranza. La loro vita, come quella di milioni di palestinesi a Gaza, è fatta di sopravvivenza quotidiana. Ogni giorno è una lotta per trovare cibo, acqua, medicine. Eppure, di Lana e dei bambini come lei nessuno parla.

Il silenzio complice

Mentre i media occidentali dedicano ampio spazio alla liberazione di ogni ostaggio israeliano, storie come quella di Lana restano sommerse. Nessuno parla degli ostaggi palestinesi incarcerati senza processo. Nessuno racconta la vita di chi è intrappolato nella Striscia, un luogo descritto dalle Nazioni Unite come "invivibile" già nel 2020.

A Gaza, due milioni di persone vivono sotto assedio. Non possono uscire. Non possono ricevere cure adeguate. Non possono cercare rifugio in un luogo sicuro. Sono ostaggi di un conflitto che li priva non solo della libertà, ma anche della dignità. Eppure, il mondo guarda altrove, anestetizzato da una narrazione che deumanizza i palestinesi e riduce le loro vite a numeri in un bollettino di guerra.

Questo silenzio non è neutrale. È una scelta. È il risultato di un sistema mediatico che amplifica le voci di alcuni e silenzia quelle di altri, che rende invisibili le vittime palestinesi mentre umanizza quelle israeliane. Questo squilibrio è il cuore della complicità. Raccontare solo una parte della storia significa perpetuare l'ingiustizia, giustificare l'oppressione, legittimare la violenza.



La deumanizzazione è il meccanismo per cui si spoglia l'altro della sua umanità, rendendolo un'entità impersonale — terrorista, minaccia, oggetto di sterminio.
Come Hannah Arendt ha descritto nell'analisi del totalitarismo, la deumanizzazione è la condizione preliminare allo sterminio di massa.
Solo dopo aver cancellato nell'altro ogni riflesso di noi stessi, diventa possibile uccidere senza scrupoli.
Nella tragedia di Gaza, la narrativa dominante spesso dipinge un'intera popolazione come potenzialmente colpevole, come terreno fertile per il terrorismo: questo è il volto moderno della deumanizzazione.


L'innocenza rubata

Secondo l'UNICEF, più di un milione di bambini vive a Gaza. Per loro, l'infanzia è stata cancellata. Non c'è scuola, non c'è gioco, non c'è futuro. Ogni bombardamento porta via un pezzo della loro umanità, trasformandoli in adulti precoci, segnati da traumi che li accompagneranno per tutta la vita.

Lana al-Sharif è una di loro. Ma per ogni Lana ci sono migliaia di altri bambini di cui non conosceremo mai i nomi, i sogni infranti, le paure. Bambini orfani, feriti, traumatizzati, o semplicemente scomparsi sotto le macerie.

La loro sofferenza non è un incidente della guerra. È una scelta politica. È il risultato di anni di assedio, bombardamenti, privazioni. È il prodotto di una politica che considera i palestinesi non come esseri umani, ma come numeri, come "danni collaterali".


Resistere per sopravvivere

Nonostante tutto, il popolo palestinese resiste. Resiste all'occupazione, all'assedio, all'invisibilità. Resiste per sopravvivere, per mantenere viva la speranza di una vita migliore per i loro figli.

Lana al-Sharif è un simbolo di questa resistenza. I suoi capelli bianchi e la sua pelle segnata raccontano una storia di dolore, ma anche di resilienza. Ogni giorno che vive è una vittoria contro un sistema che vorrebbe cancellarla.

Raccontare la storia di Lana significa rompere il silenzio. Significa riconoscere l'umanità dei palestinesi, la loro sofferenza, la loro lotta. Significa rifiutare la narrativa che giustifica l'oppressione e abbracciare una visione del mondo in cui ogni vita ha valore.

Il dovere di raccontare

I media hanno un potere immenso: quello di dare voce a chi non ce l'ha. Eppure, troppo spesso, questo potere è usato per rafforzare le disuguaglianze, per amplificare il dolore di alcuni mentre si ignora quello di altri.

Raccontare la storia di Lana al-Sharif è un atto di giustizia. È un modo per ricordare al mondo che a Gaza non ci sono solo numeri, ma persone. Persone con sogni, paure, speranze. Persone che meritano di essere viste, ascoltate, ricordate.

Lana non è solo "la bambina anziana" È il volto di un'ingiustizia che non possiamo più ignorare. E raccontare la sua storia significa scegliere da che parte stare: quella dell'umanità, della verità, della giustizia.

La storia di Lana ci interroga profondamente. Non possiamo restare in silenzio di fronte a questa tragedia. Abbiamo il dovere di raccontare, di ascoltare, di agire. Perché ogni storia ignorata è un'ulteriore ferita inflitta a chi è già ferito. E perché, come ci insegna Lana, anche nei momenti più bui, resistere è l'atto più umano che ci sia.


Quando pensiamo alla cucina dell'antica Grecia, immaginiamo banchetti sontuosi, anfore di vino e filosofi che discutono davanti a piatti fumanti. Ma pochi sanno che tra quei filosofi c'era anche qualcuno che fece della cucina un'arte poetica e una scienza ante litteram: il suo nome era Archestrato da Gela, e può essere considerato il padre della...

La migrazione è un atto di coraggio che sgretola le certezze di una vita conosciuta. La sicurezza, intesa come la casa, la lingua, gli affetti, viene messa alla prova. Chi parte cerca un nuovo spazio, ma spesso teme di tradire ciò che ha lasciato. Si ritrova sospeso tra due mondi. Esattamente come nelle relazioni amorose – dove la promessa di...

C'è una storia che sembra uscita da una favola, ma che — vera o no — dice molto più della nostra civiltà di quanto ci piaccia ammettere. Quando un elefante viene trasportato in aereo da un continente all'altro, nella sua gabbia vengono messi dei pulcini. Minuscoli, fragili, innocui.