Il ritorno in Italia di Bruno Zevi segna l'inizio di un periodo di intensa attività editoriale, una fase in cui l'architetto si impegna su molteplici fronti, producendo un numero impressionante di contributi. Già nel 1944, Zevi lavora al suo primo libro, che verrà pubblicato da Einaudi l'anno successivo con il titolo "Verso un'architettura organica". Questo testo si propone di esplorare "lo sviluppo del pensiero architettonico negli ultimi cinquant'anni", ma la figura centrale che domina le pagine è indiscutibilmente quella di Frank Lloyd Wright. Zevi vede nella sua architettura, spazialmente aperta e figurativamente irregolare, l'emblema della democrazia, opponendosi al fascismo con la stessa veemenza con cui aveva combattuto personalmente dal "fronte" americano attraverso le pubblicazioni del Movimento "Giustizia e Libertà" e le trasmissioni radiofoniche dall'oceano.
Da quel momento in avanti, il termine "organico" assume per Zevi un significato che trascende l'ortodossia wrightiana e abbraccia una dimensione politica e sociale più ampia. Nel 1945, insieme a Luigi Piccinato e Silvio Rediconcini, fonda l'APAO (Associazione per l'Architettura Organica), un'organizzazione che affianca alla «fede architettonica» la «fede in alcuni principi generali di ordine politico e sociale», come recita la dichiarazione programmatica pubblicata su "Metron". Zevi sostiene che «L'architettura organica è un'attività sociale, tecnica e artistica allo stesso tempo, diretta a creare l'ambiente per una nuova civiltà democratica», sottolineando che essa deve essere modellata secondo la scala umana e le necessità spirituali, psicologiche e materiali dell'uomo. Nel 1946, l'APAO si presenta senza successo alle elezioni comunali di Roma, ma questo insuccesso non smorza l'impulso politico di Zevi.
L'impegno politico accompagnerà Zevi per il resto della sua vita, portandolo a militare dapprima nel Partito d'Azione, poi in Unità Popolare, e infine nel Partito Radicale, dove viene eletto alla Camera dei Deputati tra il 1987 e il 1992, e ricopre la carica di Presidente onorario dal 1988 al 1999. Zevi è anche un instancabile combattente civile, affrontando decennali battaglie contro gli abusi e il degrado urbanistico e territoriale italiano attraverso le colonne di "L'architettura - cronache e storia", rivista fondata e diretta da lui stesso, e dell'"Espresso".
Parallelamente all'attività pubblicistica, Zevi si dedica all'insegnamento universitario fin dal 1949, inizialmente come libero docente presso l'Istituto Universitario di Architettura di Venezia, dove insegna Storia dell'arte e storia e stili dell'architettura, e successivamente, dopo aver ottenuto la cattedra nel 1960, presso la Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", dove insegna fino al 1979. Zevi svolge un ruolo significativo anche all'interno di organismi come l'INU (Istituto Nazionale di Urbanistica), di cui è segretario generale dal 1952 al 1968, e l'In/Arch (Istituto Nazionale di Architettura), che egli stesso fonda nel 1959. In tutti questi contesti, Zevi si distingue non solo per la sua competenza e passione, ma soprattutto per la sua vis critica straordinaria, che lo rende un intellettuale operante ben al di là dei ruoli istituzionali che ricopre.
Il suo stile, appassionato e torrenziale, emerge chiaramente nell'elenco dei volumi pubblicati nel corso della sua vita. Ogni pubblicazione riflette una incondizionata adesione e un pieno coinvolgimento che superano di gran lunga i semplici doveri accademici. Le monografie dedicate a singoli architetti, come Frank Lloyd Wright (1947), Erik Gunnar Asplund (1948), Richard Neutra (1954), Erich Mendelsohn (1970) e Giuseppe Terragni (1980), rivelano le sue predilezioni e ferventi scelte di campo. Libri come "Saper vedere l'architettura. Saggio sull'interpretazione spaziale dell'architettura" (1948), tradotto in inglese come "Architecture as Space", "Poetica dell'architettura neoplastica" (1953), "Architectura in nuce" (1960) e "Il linguaggio moderno dell'architettura. Guida al codice anticlassico" (1973), testimoniano con precisione la concezione zeviana dell'architettura come spazio: spazio interno, e quindi coincidente con l'esperienza del vivere, non semplicemente con la sua figuratività, distinta dalla concezione pittorica.
In "Architectura in nuce", Zevi declina la questione dello spazio in tutti i suoi aspetti, dall'antico al moderno, dall'architettura all'urbanistica, con un'attenzione costante agli autori a lui più cari, come Biagio Rossetti, Andrea Palladio, Michelangelo Buonarroti, Francesco Borromini, Victor Horta, Ludwig Mies van der Rohe e Frank Lloyd Wright. Zevi valuta anche le opere anonime e i contesti spontanei e vernacolari con una visione crociana, considerando questi elementi degni di attenzione e letture stratificate.
L'utilizzo della fotografia come materiale interpretativo, e non solo illustrativo, con accostamenti liberi e reiterazioni dello stesso soggetto da diversi punti di ripresa, caratterizza i suoi lavori, come già visto in "Saper vedere l'architettura" e "Storia dell'architettura moderna" (1950). Quest'ultimo rappresenta il cuore dell'opera storiografica di Zevi, unendo le vicende ancora "calde" dell'architettura moderna in una sintesi che amplia gli orizzonti dei cultori di arte contemporanea e attualizza quelli dei cultori di arte antica.
Zevi scrive: «Fino a quando la storia dell'architettura si riteneva conclusa col neoclassicismo non vi era possibilità di passaggio tra architettura antica e moderna, né di intesa tra storici d'architettura e architetti. Il ponte di congiungimento non può essere dato che dalla storia dell'architettura moderna che amplia gli orizzonti dei cultori di arte contemporanea e attualizza quelli dei cultori di arte antica». Questa ambizione di aprire nuove prospettive e connessioni evidenzia la sua visione di un'architettura non solo come costruzione fisica, ma come espressione di una continua ricerca intellettuale e culturale, capace di rispondere all'istanza di storicità posta dall'uomo e dal pensiero moderno.
Zevi tratta la "prima età" moderna con le Arts and Crafts inglesi e l'Art Nouveau internazionale, passando poi ai "maestri" europei come Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe, Oud, Mendelsohn, e narra la vicenda italiana dal Futurismo a Terragni e Pagano, culminando nel movimento organico europeo e americano, con un particolare focus su Frank Lloyd Wright.