C'è un punto in cui la pittura smette di essere rappresentazione e diventa organismo. Louise Bonnet lo ha trovato, e da lì non si è più voltata indietro. Illustratrice e graphic designer agli esordi, nel 2008 decide di abbandonare la superficie liscia del segno per immergersi nelle possibilità della materia pittorica. Prima con l'acrilico su carta,...
L’arte di dire “no”: il coraggio di vivere secondo verità
C'è un momento nella vita in cui ci si volta indietro e si comprende che il vero fardello non sono state le sfide affrontate, ma i silenzi taciuti. Non le sconfitte, ma le volte in cui abbiamo preferito compiacere piuttosto che essere autentiche. L'educazione, la società, i modelli culturali ci hanno spesso insegnato che la donna "perbene" deve sorridere, mediare, sacrificarsi. Che la sua forza risieda nell'abilità di reggere pesi e inghiottire parole. Eppure, a guardar bene, la libertà comincia quando impariamo l'arte del rifiuto. Non un rifiuto distruttivo, ma quello creativo: dire "no" a ciò che ci toglie respiro per dire "sì" a ciò che ci fa rifiorire.
La pedagogia del "vaffanculo"
La parola tanto scandalosa quanto liberatoria – "vaffanculo" – non è solo una ribellione verbale. È un atto pedagogico verso sé stesse. Significa stabilire confini, ricordare al mondo (e a noi stesse) che non siamo nate per essere contenitori delle aspettative altrui. Usarla non implica cattiveria, ma lucidità: è riconoscere che non tutto né tutti meritano il nostro tempo, la nostra energia, il nostro cuore.
La trappola del compiacere
Molti dei nostri rimpianti non derivano dall'aver fatto troppo, ma dall'aver taciuto troppo a lungo. Ci pieghiamo per paura di deludere, ci adattiamo per non essere giudicate, ci annulliamo per non perdere l'amore o l'approvazione. Ma ogni compromesso non autentico scava solchi interiori, toglie luce, depaupera energie, ruba vita. Il compiacere è una prigione invisibile: la porta resta sempre aperta, eppure restiamo dentro per timore del giudizio.
Filosofia della verità personale
Viviamo in una società che esalta l'idea di "essere tutto per tutti". Ma la vera filosofia della libertà è il contrario: imparare a essere sé stesse, anche se questo significa deludere qualcuno.
Dire la propria verità non è arroganza, è responsabilità. Non giustificare ogni scelta non è egoismo, è rispetto di sé. Non spiegarsi a chi è deciso a fraintendere non è durezza, è intelligenza.
Il coraggio di lasciare andare
Uno degli apprendimenti più difficili è quello del distacco: smettere di trattenere ciò che non ci serve più. Relazioni tossiche, obblighi che ci consumano, ruoli che non ci appartengono. Ci aggrappiamo per paura, ma è nell'atto di lasciar andare che si apre lo spazio per il nuovo. La vita non si riempie accumulando, ma liberando.
La vera eredità
Se potessimo lasciare un consiglio a chi viene dopo di noi, non sarebbe un manuale di buone maniere. Sarebbe un invito alla verità. A non restare in silenzio quando la voce trema ma vuole uscire. A respingere ciò che ferisce invece di tollerarlo per quieto vivere. A ricordare che chiunque mettiamo al centro, se non siamo noi stesse, alla lunga ci consumerà.
In fondo, i veri rimpianti non sono gli errori, ma le rinunce a vivere secondo verità. E forse, la saggezza più grande è tutta qui: vivere abbastanza a lungo da accorgersi che il tempo più prezioso è quello in cui non abbiamo chiesto scusa per essere noi stesse.
La riflessione sul coraggio di dire "no" — e persino, quando serve, di pronunciare un netto "vaffanculo" — può sembrare un vezzo della modernità individualista. In realtà, è un filo che attraversa tutta la storia del pensiero: l'idea che la dignità umana si giochi nella capacità di non piegarsi completamente alle pressioni esterne, ma di rimanere fedeli alla propria misura interiore.
Socrate: la voce interiore
Socrate, nel Fedone e nell'Apologia, testimonia con la sua vita che non esiste bene più alto della fedeltà alla propria verità. Il suo "daimonion" non gli diceva cosa fare, ma lo fermava dal fare ciò che non era conforme alla sua coscienza. È un rifiuto radicale: meglio morire che tradire sé stessi. Qui si pone il fondamento di ogni etica dell'autenticità: la libertà non è adesione cieca alla comunità, ma capacità di distinguersi da essa quando ci chiede di rinnegare il vero.
Seneca e gli stoici: l'arte del distacco
Seneca ci ricorda che gran parte della sofferenza deriva dal lasciarci determinare dalle opinioni e dai giudizi degli altri. "Non è breve la vita, ma noi la rendiamo tale" scrive nelle Lettere a Lucilio: troppe energie si sprecano nell'inseguire approvazioni, onori, appartenenze. Lo stoicismo è, in fondo, la filosofia del "lasciar andare": il dire "no" a ciò che non dipende da noi e non merita il nostro tormento. Un "no" che è protezione della nostra pace interiore.
Nietzsche: il "no" che diventa "sì"
Nietzsche rovescia la questione: il rifiuto non è soltanto negazione, ma il gesto attraverso cui si afferma la propria potenza vitale. Nell'Anticristo scrive che "lo spirito libero dice no quando vuole, sì quando vuole". Dire "no" agli idoli, alle morali che opprimono, non è sterile ribellione, ma l'atto preliminare alla creazione di valori nuovi. Un "no" che è condizione del più radicale "sì" alla vita.
Simone de Beauvoir: rifiutare il ruolo imposto
Nell'etica esistenzialista di Simone de Beauvoir il tema del rifiuto è centrale, soprattutto nella condizione femminile. Nel Secondo sesso analizza come la donna sia spesso ridotta ad "altro", modellata sugli schemi maschili. L'atto liberatorio comincia proprio con il rifiuto di questi ruoli e con la rivendicazione di sé come soggetto. Qui il "vaffanculo" assume una valenza storica e politica: non si tratta solo di liberazione individuale, ma di sovversione di strutture sociali che chiedono adattamento e silenzio.
Arendt: il diritto di giudicare da sé
Hannah Arendt, riflettendo sul totalitarismo, mostra quanto sia pericoloso il conformismo: l'incapacità di dire "no" all'autorità produce i peggiori disastri della storia. In La banalità del male, il funzionario che "obbedisce agli ordini" incarna il contrario del pensare. Rifiutare non è un lusso: è la condizione per preservare l'umanità stessa.
Un'etica del rifiuto
Questi pensatori, così diversi, convergono in un punto: l'autenticità esige la capacità del rifiuto. Non per capriccio, ma come affermazione di una misura interiore che resiste alla pressione del conformismo. Il "vaffanculo" evocato in chiave popolare non è altro che la traduzione immediata di un gesto antico: stabilire confini, proteggere la propria energia vitale, affermare il diritto a vivere secondo verità. In questo senso, il rifiuto è più che un atto di difesa: è un atto di creazione. Perché solo chi sa dire "no" con fermezza può pronunciare un "sì" autentico alla propria vita.
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