Gurdjieff e il risveglio dell’essere: un Socrate del XX secolo

08.12.2025

La cosiddetta Quarta Via, condensata da Gurdjieff attraverso viaggi e incontri con tradizioni spirituali antiche, si presenta come un sistema che non si apprende soltanto con la mente ma con la carne, con il corpo che danza e diventa veicolo di conoscenza. In questo senso, Gurdjieff si pone come un Socrate contemporaneo, un filosofo che non si limita a proporre dottrine ma che costruisce una scuola capace di destabilizzare le certezze e di aprire varchi verso una trasformazione interiore. L'essere umano, diceva, è una macchina condizionata da influssi esterni, planetari e sociali, e proprio per questo deve imparare a morire a se stesso, riconoscere il proprio sonno e rinascere in una nuova consapevolezza. In un'epoca segnata da rivoluzioni politiche e culturali, Georges Ivanovič Gurdjieff appare come una figura che sfida le categorie tradizionali della filosofia e della spiritualità, un maestro che non si accontenta di trasmettere concetti astratti ma che pretende di scuotere l'essere umano nella sua interezza, costringendolo a confrontarsi con la propria condizione di sonno e con la necessità di un risveglio radicale. La sua irruzione nella Russia pre-rivoluzionaria, con spettacoli di danza e gruppi di studio, non fu un semplice episodio di esoterismo, bensì l'inizio di un percorso che mirava a disvelare la falsità delle personalità costruite e a favorire l'emergere di una essenza autentica, capace di armonizzare intelletto, emozione e istinto.


Il rifiuto dei canoni accademici e la sua auto-definizione di "imbroglione sacro" hanno impedito che il suo pensiero penetrasse nel dibattito filosofico istituzionale, soprattutto in Italia, dove la sua influenza è rimasta confinata a circoli spirituali e artistici. Eppure, la forza del suo insegnamento risiede proprio nella capacità di integrare la dimensione razionale con quella emozionale e motoria, evitando il rischio di ridurre l'uomo a un frammento, a un io disperso. Non è un caso che oggi molte delle sue intuizioni trovino conferma nelle neuroscienze, che riconoscono la pluralità degli stati di coscienza e la frammentarietà dell'io come elementi costitutivi della psiche.

La sua eredità più evidente si manifesta nell'arte: dalla musica di Franco Battiato, Keith Jarrett e Robert Fripp, al teatro di Jerzy Grotowski e Peter Brook, il pensiero gurdjieffiano ha trovato terreno fertile nelle pratiche creative, dove la dimensione esperienziale e corporea ha potuto accogliere la sua lezione più radicale. Tuttavia, ridurre Gurdjieff a un semplice ispiratore artistico significherebbe trascurare la portata filosofica del suo messaggio, che ci invita a riconoscere la nostra condizione di sonno e a intraprendere un percorso di evoluzione che non è mai soltanto individuale ma che riguarda l'intera umanità.

In un mondo che continua a oscillare tra automatismi sociali e illusioni di libertà, il pensiero di Gurdjieff si rivela oggi più che mai attuale: esso ci ricorda che la vera emancipazione non consiste nel moltiplicare le opinioni o nel rincorrere le mode culturali, ma nel compiere un lavoro interiore che integri ragione, emozione e istinto, restituendo all'essere umano la possibilità di diventare ciò che realmente è.



Fra tutte le convinzioni formatesi nella mia "presenza integrale" durante la mia vita responsabile, ordinata in modo piuttosto singolare, ce n'è una incrollabile secondo cui tutti gli uomini — qualunque grado di sviluppo abbia raggiunta, la loro comprensione, e qualunque forma di manifestazione abbiano assunto i fattori che suscitano ideali di tutti i tipi nelle loro individualità — provano, sempre e dovunque sulla terra, il bisogno di pronunciare a voce alta, o almeno fra sé e sé, quando cominciano una nuova impresa, un'invocazione comprensibile a chiunque, anche all'individuo più ignorante, che si è modificata nelle sue parole di età in età finché oggi suona così: «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen». E perciò anch'io, dovendomi imbarcare in un'avventura del tutto nuova per me come quella di scrivere un libro, comincio con quest'invocazione e la pronuncio a voce ben chiara, anzi, per dirla con gli antichi Tulositi, «con un intonazione alta e solenne»; nella misura, s'intende, in cui lo consentono i dati già formatisi nella mia presenza integrale e forte mente radicati in essa: cioè i dati che si costituiscono nella natura dell'uomo durante l'età preparatoria, e che più tardi, nel corso della sua vita responsabile, determinano il carattere e la forza vivificante di questa intonazione. Dopo un esordio simile posso star tranquillo, anzi dovrei, secondo le concezioni che i nostri contemporanei si fanno della "morale religiosa", essere sicurissimo che nella mia nuova impresa ormai "tutto andrà a gonfie vele". Insomma, io inizio così. E per il resto, non posso che ripetere col cieco: «Si vedrà!».

I racconti di Belzebù a suo nipote 
Critica oggettivamente imparziale della vita degli uomini
 



Nell'orizzonte vasto e spesso confuso della modernità, dove le voci si accavallano e le certezze sembrano dissolversi in un mare di opinioni effimere, la figura di Georges Ivanovič Gurdjieff si staglia come un richiamo severo e insieme liberatorio, un invito a riconoscere che la vita dell'uomo non può essere ridotta a un susseguirsi di gesti meccanici e di abitudini inconsapevoli, ma esige piuttosto un lavoro incessante di risveglio, un esercizio di presenza integrale che abbracci la totalità dell'essere e restituisca dignità al tempo che ci è dato di vivere.

La sua filosofia, lungi dall'essere un sistema chiuso o una dottrina da apprendere passivamente, si configura come un cammino, un processo di trasformazione che richiede disciplina, osservazione di sé e la capacità di riconoscere la propria condizione di sonno interiore, per poi intraprendere con coraggio il difficile percorso verso la coscienza vigile. In questo senso, Gurdjieff non propone una morale esterna, né un insieme di regole da seguire per conformarsi a un ideale astratto, bensì una pratica concreta che si radica nella responsabilità personale e che si dispiega nella quotidianità, là dove ogni gesto, anche il più semplice, può diventare occasione di risveglio e di invocazione del sacro.

L'uomo e la sua presenza integrale

Egli ci ricorda che l'uomo, se non lavora su sé stesso, rimane prigioniero di automatismi che lo rendono simile a una macchina, incapace di scegliere e di vivere con autenticità; ma se accetta la fatica del lavoro interiore, se si impegna a unificare corpo, mente ed emozioni in un equilibrio dinamico, allora può accedere a quella libertà che non consiste nel fare ciò che si vuole, bensì nel diventare pienamente presenti a ciò che si è.

Così, la sua voce risuona ancora oggi come un monito e come una promessa: monito contro la distrazione e l'inerzia che ci trascinano lontano da noi stessi, promessa di una vita che, pur nella sua imprevedibilità, può essere vissuta con intensità e consapevolezza, se solo si ha il coraggio di pronunciare, all'inizio di ogni impresa, un'invocazione che non è mera formula rituale, ma segno tangibile della volontà di risveglio.



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