Contro l’accademismo: il pensiero che danza

01.11.2025



Perché uccidere l'accademismo? Perché è il culto della forma morta. È il gesto ripetuto senza necessità, il perfezionismo che soffoca la visione, la replica del già detto. Non è sapere, ma la sua mummia. Non è ricerca, ma conservazione. L'accademismo è il rituale che ha perso il fuoco, il linguaggio che non vibra, la verità che non inquieta. Uccidere l'accademismo non significa distruggere la conoscenza, ma liberarla. Significa smettere di adorare le ceneri e iniziare a custodire il fuoco. Nietzsche lo intuì con feroce lucidità: "L'uomo dell'accademia è il sacerdote della verità fossilizzata". L'accademico non cerca: archivia. Non rischia: rassicura. Ma l'arte e il pensiero non sono musei. Sono vulcani. E io vivo sotto un vulcano.


Ogni artista che ha fatto tremare il tempio ha compiuto questo rito. Caravaggio ha sporcato i santi e ha spezzato l'idealismo manierista. Manet ha scandalizzato il Salon con la sua "Colazione sull'erba", rompendo la compostezza neoclassica. Duchamp ha firmato un orinatoio e lo ha trasformato in detonatore concettuale. Artaud ha evocato il sacro e il viscerale con il suo teatro della crudeltà. Beuys ha dichiarato che ogni uomo è un artista, dissolvendo il confine tra arte e vita. Yoko Ono ha invitato il pubblico a diventare co-autore. Manzoni ha venduto "Merda d'artista" in scatola, ironizzando sul feticismo dell'autenticità. Mendieta ha fuso corpo e terra in rituali viscerali. Basquiat ha portato il graffito e la rabbia urbana nel tempio dell'arte.

Anche la filosofia ha i suoi incendiari. Foucault ha smascherato le genealogie del sapere, rivelando il potere dietro ogni verità. Derrida ha dissolto le strutture fisse del linguaggio. Žižek ha fatto del paradosso il suo strumento. Butler ha destabilizzato le identità normate. Agamben ha rivelato lo stato di eccezione come norma. Han ha denunciato la trasparenza come forma di controllo. Barad ha dissolto il confine tra soggetto e oggetto. Negarestani ha immaginato un pensiero mutante. West ha richiamato la filosofia alla sua vocazione profetica.

Questi pensatori non cercano risposte. Cercano ferite. Non costruiscono sistemi. Aprono abissi. La filosofia, come l'arte, non è un manuale. È una faglia. È il luogo dove il pensiero si frattura e trema, per rinascere.

L'accademismo teme l'ignoto. Lo vuole dominare, classificare, sterilizzare. Ma l'ignoto non si domina. Si abita. È il luogo dove il pensiero si reinventa. Dove l'arte non illustra, ma evoca. Dove il sapere non rassicura, ma inquieta. Eraclito lo sapeva: "Il cammino su e giù è uno e lo stesso". Nietzsche lo urlava: "Bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante". Degas lo sussurrava: "L'arte non è ciò che vedi, ma ciò che fai vedere agli altri".

Uccidere l'accademismo è un gesto rituale. Non è distruzione, ma metamorfosi. È il momento in cui il pensiero si spoglia delle sue vesti cerimoniali e danza nudo nell'abisso. È il ritorno della filosofia alla sua origine greca: un'arte del vivere, non del classificare.

Che l'ignoto sia il nostro maestro. Che la nuova interpretazione sia il nostro rito. Che il pensiero torni a essere vulcano, non museo.





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