Se avessimo la metà della sensibilità di un elefante

08.06.2025

L’EDITORIALE

DI ABEL GROPIUS


C'è una storia che sembra uscita da una favola, ma che — vera o no — dice molto più della nostra civiltà di quanto ci piaccia ammettere. Quando un elefante viene trasportato in aereo da un continente all'altro, nella sua gabbia vengono messi dei pulcini. Minuscoli, fragili, innocui.

Non sono lì per compagnia, né per curiosità. Sono lì per una ragione che sembra assurda, quasi impossibile da credere: per impedire all'elefante di muoversi.

Sì, perché l'elefante — nonostante la sua massa, la sua forza, il suo potere — non si muove per tutto il viaggio. Resta immobile. Resta vigile. Resta attento. Perché sa che potrebbe schiacciare uno di quei piccoli esseri indifesi. E non vuole. Potrebbe muoversi, ma sceglie di non farlo. Potrebbe dominare, ma sceglie di trattenersi. Cosa ci insegna questa storia?


La forza che si fa cura

Questa storia, se anche fosse leggenda, rivela qualcosa di profondo: il rispetto spontaneo per la vita fragile. Non per legge, non per religione, non per interesse. Ma per natura.

L'elefante non ha codici morali scritti, non ha dichiarazioni dei diritti, non ha università, filosofie o comandamenti. Eppure, in quel gesto semplice — restare immobile per non nuocere a chi potrebbe uccidere con un solo passo — dimostra una forma di coscienza che a noi spesso manca.

La scienza lo conferma: nel cervello degli elefanti esistono neuroni speciali, le cellule fusiformi, le stesse che abbiamo anche noi, e che sono alla base dell'empatia, della coscienza di sé, della comprensione sociale.

Gli elefanti sentono. Comprendono. Ricordano. Piangono i loro morti. E si ritirano a morire da soli, per non causare dolore al branco.

Lo fanno per pudore. Per compassione. Per dignità.

Tre parole che oggi fanno fatica a sopravvivere persino tra gli esseri umani.


La tragedia del nostro tempo: intelligenza senza empatia

Noi, umani, ci diciamo superiori. Ci raccontiamo come specie eletta, padroni del pianeta, custodi della ragione. Abbiamo creato tecnologie, sistemi economici, civiltà.

Eppure, abbiamo costruito tutto questo ignorando sistematicamente la sofferenza che causiamo.

Abbiamo fabbriche di animali, lager legalizzati in cui miliardi di esseri senzienti vengono ridotti a macchine da carne, latte o uova. Abbiamo distrutto habitat, disboscato foreste, cementificato fiumi, avvelenato mari. E lo facciamo con una leggerezza spaventosa, anestetizzati dalla distanza e dal profitto.

Ci basta non vedere. Non sapere. Non sentire.



Se avessimo solo metà della sensibilità di un elefante…

…non tollereremmo ciò che tolleriamo ogni giorno.

Non useremmo la parola "bestiale" come insulto. Perché, se bestiale vuol dire capace di compassione, allora vorremmo esserlo tutti.

Non costruiremmo sistemi dove la forza è strumento di dominio invece che di protezione.

Non giustificheremmo la crudeltà come necessità, e la distruzione come progresso.

Non saremmo tanto intelligenti da costruire razzi per Marte, ma tanto ciechi da non vedere chi stiamo calpestando sulla Terra.

L'umiltà della grandezza

Leonardo da Vinci scrisse che l'elefante incarna "la rettitudine, la ragione e la temperanza".

In un mondo dove l'uomo confonde la libertà con l'arbitrio e la forza con il diritto, l'elefante ci ricorda che la vera grandezza è sapersi trattenere.

È non fare tutto ciò che si può fare.

È proteggere chi non ha voce, scegliere la via difficile del rispetto, e saper morire in silenzio per non pesare sugli altri.


Se davvero siamo la specie più evoluta, allora dobbiamo dimostrarlo non con ciò che sappiamo fare, ma con ciò che scegliamo di non fare.

Un mondo più giusto, più sano, più umano, comincia forse così:
mettendo nella nostra gabbia immaginaria… un pulcino.
E chiedendoci ogni giorno: Sto attento a dove metto i piedi?


C'è una storia che sembra uscita da una favola, ma che — vera o no — dice molto più della nostra civiltà di quanto ci piaccia ammettere. Quando un elefante viene trasportato in aereo da un continente all'altro, nella sua gabbia vengono messi dei pulcini. Minuscoli, fragili, innocui.

Quando il rumore delle guerre, il grido della natura ferita e l'indifferenza sembrano aver reso l'umanità stordita e senza bussola, l'opera di Sebastião Salgado ci parla di sentimenti e umanesimo negato come un manifesto dell'essenza umana. Non si tratta solo di immagini straordinarie o di testimonianze visive: Salgado ci offre una filosofia...