La propaganda nei social media: perché è così difficile fermarla?

10.05.2025

Nel mondo sempre più connesso in cui viviamo, la propaganda e la disinformazione si diffondono come un virus. Si infiltrano nei nostri feed social, si travestono da notizie legittime e si insinuano nei dibattiti pubblici. Ma perché, nonostante i mezzi tecnologici a nostra disposizione, è così difficile bloccare questo fenomeno? E perché le piattaforme social sembrano talvolta "chiudere gli occhi" di fronte al problema?



Un problema di origine geografica

Molti contenuti propagandistici provengono da Paesi con un controllo rigido sull'informazione o con agende politiche specifiche, come Russia, Cina o Vietnam. Però, le piattaforme social permettono spesso a queste pagine di operare liberamente, anche quando il loro scopo è manipolare l'opinione pubblica di altri Paesi.

La soluzione sembrerebbe semplice: limitare la visibilità dei contenuti prodotti o amministrati da profili registrati in certi Paesi. Non servirebbero algoritmi sofisticati o interventi governativi; basterebbe un controllo sul Paese da cui viene gestita una pagina. Tuttavia, questa misura non è stata implementata su larga scala. Perché?

1. Motivi economici

Le piattaforme social come Facebook, Twitter e TikTok sono aziende globali che guadagnano dalla nostra attenzione. Ogni interazione – che sia un "like", un commento o una condivisione – genera valore economico attraverso la pubblicità. La propaganda e la disinformazione, proprio per la loro natura provocatoria e divisiva, spesso generano più interazioni rispetto ai contenuti neutrali o informativi.

Bloccare questi contenuti potrebbe significare una riduzione del traffico e quindi dei ricavi pubblicitari. Per le aziende, questo rappresenta un conflitto di interesse: combattere la disinformazione potrebbe essere etico, ma è anche poco redditizio.

2. Difficoltà tecniche (reali e apparenti)

A prima vista, controllare la provenienza geografica di una pagina sembra un compito semplice. In realtà, gli amministratori possono aggirare queste restrizioni utilizzando VPN, server proxy o registrando account da Paesi terzi. Inoltre, distinguere tra un contenuto propagandistico e uno legittimo richiede un monitoraggio costante e risorse significative.

Tuttavia, è difficile credere che le grandi piattaforme, con risorse tecnologiche avanzate, non siano in grado di sviluppare soluzioni più efficaci. Questo porta a domandarsi se la vera difficoltà sia tecnica o se sia una scelta consapevole.

3. Implicazioni legali ed etiche

Bloccare contenuti basandosi sulla provenienza geografica potrebbe essere percepito come discriminatorio o violare principi di libertà di espressione. Inoltre, in alcuni Paesi, le piattaforme social sono soggette a normative locali che possono limitare la loro capacità di intervenire sui contenuti.

Ad esempio, dichiarare guerra alla disinformazione potrebbe portare a controversie legali con governi o utenti, specialmente in un contesto globale dove le leggi sulla censura e sulla libertà di parola variano enormemente.

4. La propaganda come modello di business

La polarizzazione è redditizia. Contenuti controversi, spesso propagandistici, aumentano il tempo che gli utenti trascorrono sulla piattaforma e il livello di coinvolgimento. Questo è noto come "hate clicks": più un contenuto ci provoca rabbia o indignazione, più siamo inclini a interagirvi. Per le piattaforme, ogni clic rappresenta una vittoria economica.

5. Una scelta consapevole?

L'idea che le piattaforme "chiudano gli occhi" sulla propaganda non è del tutto infondata. Alcuni provvedimenti sono stati presi, come il fact-checking o gli avvisi sui contenuti sospetti, ma spesso risultano insufficienti o inefficaci.

Un'interpretazione più cinica suggerisce che le piattaforme abbiano un incentivo a non intervenire troppo drasticamente. La disinformazione è una conseguenza del modello di business stesso, basato sull'amplificazione dei contenuti che generano interazioni.

Cosa si può fare?

La soluzione non è semplice, ma alcune azioni potrebbero fare la differenza:

  1. Regolamentazione governativa: creare leggi che obblighino le piattaforme a rendere trasparenti le origini dei contenuti e a limitare quelli propagandistici.

  2. Educazione digitale: formare gli utenti a riconoscere la disinformazione e a verificare le fonti.

  3. Modifiche al modello di business: incentivare contenuti di qualità rispetto a quelli polarizzanti, anche attraverso modifiche agli algoritmi.

  4. Collaborazione internazionale: affrontare il problema come una sfida globale, con standard condivisi tra i vari Paesi.

La disinformazione e la propaganda non sono semplici anomalie del sistema; sono spesso il risultato diretto di come le piattaforme social sono progettate per massimizzare i profitti. La vera sfida è riformare un sistema che, per sua natura, premia la polarizzazione e il caos informativo.


Ecco una selezione di libri che esplorano in profondità il tema della propaganda, della disinformazione e delle fake news nell'era dei social media. Questi testi offrono prospettive storiche, analisi critiche e strumenti per comprendere e contrastare la manipolazione dell'informazione. 


Libri sulla propaganda e la manipolazione dell'opinione pubblica 

  1. Propaganda. Come manipolare l'opinione pubblicaEdward L. Bernays
    Considerato un classico, questo libro analizza le tecniche di persuasione utilizzate per influenzare le masse, evidenziando come la propaganda sia stata impiegata in vari contesti storici.

  2. La propaganda – Jason Stanley
    Il filosofo Jason Stanley esamina come la propaganda possa minare le democrazie, offrendo una diagnosi critica dello stato attuale della comunicazione politica.

  3. Comunicazione e propaganda. Il ruolo dei media nella formazione dell'opinione pubblicaMassimo Ragnedda
    Questo volume esplora l'evoluzione della propaganda sia nelle dittature che nelle democrazie, analizzando le tecniche comunicative e il loro impatto sulla società.

Libri sulla disinformazione e le fake news 

  1. Fake news. Vivere e sopravvivere in un mondo post-veritàGiuseppe Riva
    Un'indagine su come le fake news si diffondano nell'era digitale e su come possiamo difenderci da esse.

  2. La disinformazione felice. Cosa ci insegnano le bufaleFabio Paglieri
    Il libro esplora il fenomeno delle fake news, offrendo strumenti per riconoscerle e comprendere il loro impatto sulla società.

  3. Il mercato delle verità. Come la disinformazione minaccia la democraziaAntonio Nicita
    Un'analisi approfondita su come la disinformazione possa compromettere i processi democratici e influenzare l'opinione pubblica.

Libri sull'educazione ai media e la consapevolezza digitale 

Mind Over Media: Propaganda Education for a Digital AgeRenée Hobbs
Un manuale per educatori e studenti che desiderano sviluppare una comprensione critica della propaganda nei media digitali.
Disinformazia. La comunicazione al tempo dei social mediaFrancesco Nicodemo
Analizza come la comunicazione sia cambiata con l'avvento dei social media e come la disinformazione si diffonda in questo nuovo contesto. 


Elefanti nani, inesistenti regni medievali, parodie politiche scambiate per vere, panzane virali e dibattiti privi di senso sui social media. Le bufale un tempo erano oggetto di curiosità, bizzarri orpelli della credulità umana di cui discutere fra il serio e il faceto. Oggi causano allarme sociale, come ci dimostra la cronaca recente: la baraonda digitale prodotta dal diffondersi di un'epidemia può minare alla radice i tentativi di combatterla, o al contrario facilitare una risposta collettiva sensata ed efficace. Perché la disinformazione online è soprattutto il sintomo di cambiamenti radicali nelle nuove tecnologie di comunicazione. Convivere felicemente con tutto questo è possibile, e persino necessario. Per farlo, bisogna considerare le bufale non spazzatura di cui sbarazzarsi, ma piuttosto fantastici laboratori su cui affinare le nostre competenze. Una proposta originale per orientarsi meglio nella nuova ecologia dell'informazione.

Finché non ci sarà una pressione significativa da parte degli utenti e dei governi, il problema continuerà a prosperare, travestito da informazione. Riconoscere questa realtà è il primo passo per iniziare a costruire un futuro digitale più trasparente e responsabile. 


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