"Il libro bianco" di Han Kang: una meditazione sulla perdita e la purezza

03.11.2025

In Il libro bianco, Han Kang compie un gesto letterario audace e delicato: trasforma il lutto in contemplazione, la memoria in rituale, il silenzio in parola. Con una prosa lirica e frammentata, la scrittrice sudcoreana ci conduce in un viaggio intimo e universale, dove il colore bianco diventa il linguaggio della vulnerabilità, della bellezza e della resistenza. 


Un libro fatto di assenze

Il punto di partenza è una tragedia familiare: la morte della sorella maggiore, avvenuta poche ore dopo la nascita. Ma Han Kang non racconta la vita che è stata, bensì quella che non è mai potuta essere. Lo fa attraverso una serie di oggetti bianchifasce per neonati, neve, luna, zucchero, sale — che diventano offerte simboliche, tentativi di restituire alla sorella una presenza, una voce, una forma. Ogni elemento bianco è carico di significato. Non è solo un colore, ma una soglia tra il visibile e l'invisibile, tra ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere. Il bianco è purezza, ma anche fragilità. È silenzio, ma anche grido trattenuto.


Una scrittura che respira

La struttura del libro è frammentaria, quasi poetica. Brevi paragrafi, immagini sospese, riflessioni che sembrano emergere dal gelo. Non c'è trama nel senso tradizionale, ma c'è una tensione emotiva costante, un ritmo interiore che pulsa sotto la superficie. Han Kang scrive come se stesse camminando sulla neve: con passo leggero, ma deciso. Ogni parola è scelta con cura, ogni pausa è significativa. Il lettore è invitato non solo a leggere, ma a meditare, a sostare, a respirare insieme all'autrice.


Il bianco come cura

In un mondo rumoroso e sovraccarico di immagini, Il libro bianco è un atto di resistenza. È un invito a guardare il vuoto, a riconoscere la bellezza nell'effimero, a trovare conforto nella semplicità. Il bianco diventa una forma di guarigione, un modo per lenire il dolore e accettare la perdita. Come scrive Han Kang: "La parte di noi che rimane intatta, pulita, indistruttibile a dispetto di tutto". È in questa frase che si condensa la potenza del libro: la possibilità che, nonostante tutto, qualcosa di puro sopravviva.


SINOSSI


È in una tiepida primavera di Seoul, quando le magnolie in fiore parlano di rinnovamento e rinascita, che Han Kang matura l'idea di scrivere un libro sul bianco. Ma solo nel corso di un lungo soggiorno all'estero, mentre vaga per le strade di una città sepolta sotto la neve, il suo progetto comincia a prendere corpo intorno al ricordo della sorella maggiore, morta poche ore dopo la nascita. Narrare la sua storia è un modo di restituirle la vita che non ha avuto, facendole dono di tutte quelle cose bianche, in cui si rivela la «parte di noi che rimane intatta, pulita, indistruttibile a dispetto di tutto». Le prime che Han Kang ci pone sotto gli occhi sono proprio le fasce cucite per la neonata, il camicino che la madre prepara per lei e la bimba stessa, simile a un dolcetto di riso. E bianco sarà tutto ciò che alla sorella la scrittrice offrirà: una zolletta di zucchero, un pugno di sale grosso, il volto della luna, la schiuma delle onde, il respiro che il gelo condensa e rende visibile, la neve – materia «fragile, effimera eppure di una bellezza impetuosa» – e le stelle limpide e fredde della Via Lattea, capaci di «lavare lo sguardo all'istante». Perché la purezza del bianco e il potere curativo delle parole possano lenire il dolore e alleviare la perdita.


Per chi è questo libro?

Per chi ha vissuto una perdita e cerca parole che non siano consolatorie ma vere. Per chi ama la letteratura che osa, che non ha paura del silenzio. Per chi crede che la bellezza possa essere fragile, e che la fragilità possa essere potente.


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Han Kang e Il libro bianco: la poesia del lutto, la bellezza del silenzio

Il 5 novembre 2025, al Teatro Dal Verme di Milano, Han Kang farà la sua prima apparizione pubblica in Occidente dopo aver ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura nel 2024. Un evento atteso, che segna non solo l'incontro tra la scrittrice sudcoreana e il pubblico europeo, ma anche la celebrazione di un'opera che ha ridefinito i confini della narrativa contemporanea: Il libro bianco. Con lei, sul palco, Daria Deflorian — che da anni porta la sua scrittura a teatro — e Marco Del Corona del Corriere della Sera.

Un libro che nasce dal silenzio

Il libro bianco non è un romanzo, né un memoir, né una raccolta di poesie. È tutte queste cose insieme, e qualcosa di più. È un atto di memoria, un rituale di guarigione, una meditazione sul bianco — colore che diventa linguaggio, rifugio, soglia.

L'idea nasce in una primavera tiepida di Seoul, tra magnolie in fiore e pensieri di rinascita. Ma è solo durante un soggiorno invernale all'estero, in una città sepolta dalla neve, che Han Kang comincia a scrivere. Al centro, il ricordo della sorella maggiore, morta poche ore dopo la nascita. Raccontarla è un modo per restituirle la vita che non ha avuto. E lo fa attraverso oggetti bianchi: fasce cucite, un camicino, una zolletta di zucchero, il volto della luna, la schiuma delle onde, la neve — "fragile, effimera eppure di una bellezza impetuosa".

Una scrittura che cura

La prosa di Han Kang è poetica, frammentaria, essenziale. Ogni parola è scelta con cura, ogni immagine è un'offerta. Il bianco diventa simbolo di ciò che resta intatto, pulito, indistruttibile "a dispetto di tutto". È il colore del lutto, ma anche della speranza. È il respiro che il gelo condensa e rende visibile. È la voce che non si è mai potuta udire, ma che ora trova spazio tra le pagine.

Una voce unica nella letteratura mondiale

Il Nobel ha riconosciuto in Han Kang "una consapevolezza unica delle connessioni tra corpo e anima, i vivi e i morti", e ha celebrato il suo stile "poetico e sperimentale" come innovazione della prosa contemporanea. Il libro bianco ne è la prova vivente: un testo che non si legge, ma si contempla. Che non si dimentica, ma si custodisce.

Un incontro da non perdere

L'evento milanese sarà più di una presentazione: sarà un rito collettivo, un'occasione per ascoltare la voce di chi ha saputo trasformare il dolore in bellezza. Daria Deflorian, con la sua sensibilità teatrale, e Marco Del Corona, con il suo sguardo critico, accompagneranno Han Kang in un dialogo che promette di essere profondo, commovente, necessario.



Tanju Özelgin è un designer di fama internazionale, nato a Istanbul nel 1962. Con una carriera che abbraccia oltre tre decenni, Özelgin ha lasciato un'impronta indelebile nel mondo del design industriale e dell'architettura d'interni . La sua formazione presso la Marmara University, dove si è laureato in Design di Prodotti Industriali nel 1984, ha...