Reincarnazioni digitali: il destino opaco dei profili bloccati

29.09.2025


Cancellare non è mai solo cancellare. È riscrivere, riciclare, riappropriarsi. E nel mondo digitale, ciò che muore può tornare sotto mentite spoglie, svuotato di senso e riassemblato per altri scopi. Un profilo Facebook non è solo un insieme di dati: è una presenza, una voce, una forma di esistenza pubblica. Quando viene bloccato o rimosso, non si tratta semplicemente di una misura tecnica. È una cancellazione simbolica, un atto di silenziamento che spesso colpisce chi disturba, chi provoca, chi osa dire troppo o dire diversamente. Ma cosa accade dopo? Dove finisce quel corpo digitale? Chi lo gestisce, lo conserva, lo manipola?


La reincarnazione algoritmica

Molti utenti hanno notato un fenomeno inquietante: profili bloccati che "ricompaiono" sotto altro nome, con tratti simili, comportamenti familiari, e una strana sensazione di déjà vu. Non si tratta di semplici cloni, ma di vere e proprie reincarnazioni digitali. Profili disattivati che vengono ripresi, ripuliti, riassemblati e gestiti da sviluppatori, agenzie o bot, spesso per scopi che nulla hanno a che vedere con l'identità originaria. Questa pratica, raramente ammessa dalle piattaforme, si muove in una zona grigia tra riutilizzo tecnico e appropriazione identitaria. Il profilo non è più persona, ma strumento. Non più voce, ma veicolo.


Sociologia della sparizione e del ritorno

Dal punto di vista sociologico, siamo di fronte a una dinamica inquietante: la cancellazione non è definitiva, ma funzionale. Il sistema non elimina ciò che disturba: lo assorbe, lo trasforma, lo neutralizza. Il profilo bloccato diventa materia prima per nuove identità digitali, spesso gestite da operatori invisibili, che ne sfruttano la struttura, la reach, l'architettura relazionale.

È una forma di necro-politica digitale: decidere chi può parlare, chi può esistere, e chi può essere riutilizzato come simulacro.


Il profilo come avatar ricombinato

In alcuni casi, i profili reincarnati mantengono tracce dell'identità originaria: foto, stile linguistico, contatti. Ma il senso è cambiato. Il profilo non è più un'estensione del sé, ma un contenitore vuoto, riempito di contenuti funzionali — pubblicità, propaganda, manipolazione. Questa ricombinazione algoritmica è una forma di violenza simbolica: il soggetto viene svuotato, riassemblato, e reso utile. Non più disturbante, ma servile.


Editorialmente parlando…

"Ciò che viene bloccato non sempre muore. A volte rinasce sotto mentite spoglie, gestito da chi ne ha capito il potenziale e ne manipola la voce. Il profilo non è più persona, ma strumento. E in questo, il digitale rivela la sua fame: non di verità, ma di utilità".

Cosa fare?

Riconoscere il fenomeno: smascherare le reincarnazioni digitali, denunciarne l'opacità. Rivendicare il senso: difendere il profilo come spazio di espressione autentica, non come merce. Costruire alternative: creare piattaforme che rispettino la voce, il silenzio, la dignità.

La reincarnazione digitale dei profili bloccati è una metafora potente del nostro tempo: ciò che disturba viene prima silenziato, poi riutilizzato. Ma il senso non si ricicla. E chi ha conosciuto il silenzio sa riconoscere il falso ritorno.

Noi, dal canto nostro, continueremo a indagare queste zone d'ombra, perché crediamo che la verità non sia solo ciò che si dice, ma anche ciò che viene cancellato, manipolato, reincarnato.


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