
Ognina, il borgo tradito: tra varianti urbanistiche, retorica “green”, e non solo
Ognina, antico borgo marinaro di Catania, con le sue casette colorate e le stradine impregnate di salsedine, è oggi al centro di una trasformazione che rischia di cancellarne l'identità. L'area, formalmente tutelata da vincoli paesaggistici, è stata oggetto di varianti al piano regolatore che hanno consentito nuovi interventi edilizi e investimenti immobiliari. Tutto "in regola" sulla carta, ma la domanda resta: com'è stato possibile modificare il piano regolatore in un contesto così delicato? Un patrimonio storico sacrificato sull'altare della speculazione?
Una città che costruisce mentre le case restano vuote
Secondo una recente indagine nazionale, oltre il 20% delle abitazioni a Catania è vuoto. Eppure la corsa al mattone continua: ristrutturazioni senza linee guida, facciate storiche svuotate al Rotolo, nuove volumetrie che alterano il tessuto urbano. La logica sembra essere quella della rendita immobiliare, più che della tutela del territorio.
Il miraggio del "Lungomare Liberato"
Da anni si parla di restituire il mare ai cittadini con il progetto del Lungomare Liberato. Una promessa mai mantenuta. Al contrario, la città si ritrova soffocata da strade pericolanti (come quella dietro piazza Europa, soggetta a rischio crollo) e da un waterfront che resta più slogan che realtà. Le parole d'ordine sono sempre le stesse: green, environment, waterfront. Ma dietro l'inglese patinato si nasconde spesso la solita colata di cemento.

Affari all'ombra delle parole
La retorica della sostenibilità diventa un paravento. Si parla di nuove zone verdi e mobilità sostenibile, ma intanto i veri affari si fanno all'ombra delle varianti urbanistiche, con operazioni che privilegiano pochi soggetti privati e lasciano ai cittadini solo le conseguenze: traffico, consumo di suolo, perdita di identità storica.
Una riflessione necessaria
Ognina non è solo un quartiere: è un simbolo della memoria collettiva di Catania. Ogni intervento che ne altera la fisionomia dovrebbe essere discusso pubblicamente, con trasparenza e partecipazione. Invece, la città sembra inghiottita da una logica di speculazione silenziosa, dove le parole "green" e "rigenerazione" diventano supercazzole urbanistiche.
Il Briatore de noantri. Gigi, il tuo elogio al cemento è un inno al corto respiro. Ti dico in quattro passi perché, uno per ogni pilastro che hai appena innalzato con la tua retorica.
Il cemento non è progresso, è spesso solo speculazione. Dubai e Miami non sono esempi virtuosi da imitare ciecamente: sono modelli di urbanizzazione estrema, dove il paesaggio naturale è stato sacrificato sull'altare del profitto. La Sicilia ha una bellezza che non ha bisogno di essere sepolta sotto colate di calcestruzzo. Se non si riesce a valorizzarla senza distruggerla, il problema non è la natura, ma l'incapacità progettuale.
La Playa non vive tutto l'anno non per colpa degli ambientalisti, ma per colpa dell'inerzia politica e imprenditoriale. E molti sono anche tuoi amici. Un bel circolino, come direbbe il caro Fabrizio Corona. Se vuoi ti faccio anche i nomi... ma non credo ti/vi converrebbe, "tanto la merda prima o dopo viene sempre a galla". Hai uno stabilimento balneare e invece di proporre soluzioni sostenibili, inneggi al cemento come se fosse l'unica via. La Riviera Romagnola funziona perché ha servizi, eventi, trasporti, promozione. Non perché ha più palazzi. La tua visione è miope: pensi che basti costruire per attrarre turismo, ma il turismo cerca esperienze, non cantieri. Gli "invidiosi" non bloccano progetti: questi vengono bloccati dalle leggi, dai vincoli paesaggistici e dalla poca decenza che ci rimane. Tirare in ballo gli ambientalisti come capro espiatorio è comodo, ma falso. I progetti si fermano quando sono incoerenti, invasivi, o privi di visione. Se davvero ci fosse un piano serio per la Playa, con rispetto del territorio e ricadute reali, nessuno lo ostacolerebbe. Ma se il piano è "cemento ovunque", allora sì: è giusto che venga fermato. La Sicilia non è ferma per colpa dei siciliani che "non fanno un cazzo", ma per chi ha il potere e lo usa male. Dire che "gli invasori hanno capito il potenziale" è un insulto alla storia e all'intelligenza. Il potenziale lo conosciamo benissimo, ma viene tradito da chi lo svende, lo deturpa, lo piega a interessi privati. La tua invettiva è uno sfogo rabbioso, ma privo di autocritica. Se davvero vuoi cambiare le cose, comincia col proporre idee, non col glorificare il cemento. E parlane ai tuoi amici. Ma credo, ti ripeto, che vi convenga così. Il profitto dei pochi a scapito del diritto dei tanti viene prima di tutto. Conviene cementificare! Un consiglio spassionato.. Invece di ballare tutto il giorno aprite qualche libro che oltre quello vi si apre pure "il paracadute".
Isiride Lancetti
Chi sostiene lo scempio urbanistico che minaccia Ognina, la Scogliera d'Armisi e il cuore storico della città, spesso lo fa con una retorica povera, dozzinale, priva di visione e di rispetto per la complessità del territorio. Non si tratta solo di analfabetismo funzionale, ma di una forma più profonda di ignoranza: quella che riscrive la città sotto la chiave del profitto, che confonde il cemento con il progresso, che riduce la bellezza a metrature edificabili. Lo si evince dai commenti che circolano, dove si inneggia alla "modernità" come sinonimo di distruzione, dove chi difende il paesaggio viene bollato come nemico dello sviluppo. È una narrazione spartana e arripudduta, che non sa scrivere né immaginare, ma sa benissimo come svendere. E in questa svendita, l'ignoranza diventa cemento: solida, invasiva, irreversibile.
IN ALTRE PAROLE E A PROPOSITO DI..
La Scogliera d'Armisi non è solo un luogo: è memoria, identità, respiro di una città che troppo spesso ha sacrificato i suoi beni comuni sull'altare della speculazione. Ogni colata di cemento che si prepara a soffocarla non è progresso, ma un insulto alla storia e all'intelligenza dei catanesi.
Il mito del "cemento come sviluppo" è una retorica miope, che confonde il profitto immediato con il benessere collettivo. Non servono mega-yacht né moli di 700 metri per restituire vivibilità: servono servizi, trasporti, cultura, rispetto del paesaggio. Servono idee, non cantieri.
Chi oggi inneggia al mattone dimentica che il turismo cerca esperienze autentiche, non skyline di palazzi senz'anima. La Sicilia ha già tutto: mare, storia, natura, cultura. Il vero fallimento non è la mancanza di cemento, ma l'incapacità progettuale e politica di valorizzare ciò che esiste senza distruggerlo.
La città non è ferma per colpa dei cittadini, ma per chi ha il potere e lo usa male. E se davvero vogliamo cambiare le cose, dobbiamo smascherare la retorica del "green" e del "waterfront" usata come copertura linguistica per nuove speculazioni.
La Scogliera d'Armisi è un bene comune, e come tale va difesa. Non è un privilegio per pochi, ma un diritto per tutti. Difenderla significa difendere la dignità di Catania, il futuro dei suoi giovani, la memoria delle sue generazioni.
Perché il profitto dei pochi non può continuare a prevalere sul diritto dei tanti. Perché il cemento non può seppellire la bellezza. Perché la Scogliera appartiene ai catanesi, e non sarà mai proprietà di chi la vuole svendere.
Dal borgo di Ognina al porto di Catania, fino alla Scogliera d'Armisi, la città vive un filo rosso che lega la sua storia al mare. Sono luoghi diversi ma uniti dalla stessa fragilità: piccoli borghi marinari che rischiano di perdere la loro anima, porti che diventano terreno di speculazione, scogliere che potrebbero essere soffocate dal cemento.
Il pericolo è sempre lo stesso: scambiare il profitto immediato per progresso, sacrificando paesaggio, memoria e diritti collettivi. Se il borgo diventa un quartiere senz'anima, se il porto si trasforma in passerella per pochi privilegiati, se la scogliera viene sottratta ai cittadini, allora Catania avrà perso non solo i suoi luoghi, ma la sua identità.
Il monito è chiaro: non deve capitare che il cemento seppellisca la bellezza, che gli interessi privati prevalgano sul bene comune, che il mare venga sottratto alla città. Difendere Ognina, il porto e la Scogliera significa difendere la dignità di Catania e il futuro delle sue generazioni.
CONTINUA..
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