
Architettura del dominio: Gaza come progetto, non come popolo
C'è un'immagine che non smette di bruciare: "i carnefici con la planimetria nel becco". Non più solo armi, ma mappe, modelli, algoritmi. Non più solo distruzione, ma gestione. Il genocidio non è più un'eccezione: è un protocollo. E il piano di pace presentato da Donald Trump alla Casa Bianca, accettato da Israele e benedetto da governi europei, ne è la prova più sofisticata.
Ventuno punti, venti ufficiali e uno implicito: il dominio. Gaza viene descritta come una "zona da deradicalizzare", da "riqualificare", da "smilitarizzare". Non come una terra viva, ma come un oggetto da ripulire. Il linguaggio è chirurgico, asettico, tecnocratico. Ma sotto la superficie, pulsa una logica coloniale: quella che trasforma i corpi in carne da macello e le rovine in opportunità di investimento. Non lo dimentichiamo.
La pace come dispositivo di controllo
Il piano non è un trattato di pace. È un dispositivo di controllo. Prevede:
La restituzione degli ostaggi entro 72 ore, in cambio di prigionieri palestinesi, come se la vita fosse una merce da scambiare.
Un'amnistia per i membri di Hamas che depongono le armi, ma nessuna possibilità per i palestinesi di scegliere chi li rappresenta.
Un governo tecnocratico apolitico, supervisionato da un "Board of Peace" presieduto da Trump, con Tony Blair tra i garanti.
Una zona cuscinetto sotto controllo israeliano, e un ritiro militare senza tempistiche precise.
Aiuti umanitari gestiti da enti internazionali, ma nessuna garanzia di sovranità.
La parola "Palestina" non compare. La parola "giustizia" nemmeno. È una pace che non chiede perdono, non riconosce il dolore, non restituisce dignità. È una pace che amministra il silenzio.
Il paradosso tragico del genocidio
Nel lager, la carne da macello resta tale. Il colonialismo si mangia il boccone. Il piano Trump non interrompe il genocidio: lo codifica. Lo trasforma in un processo graduale, monitorato, finanziato. I palestinesi non potranno scegliere chi li governa, ma potranno essere "riqualificati", come oggetti, contesti o cose. Non potranno gridare, ma potranno essere "ricostruiti", "rigenerati". È il paradosso tragico: la violenza non viene negata, viene raffinata. Non si spara più, si firma. Non si bombarda, si investe. E l'Italia, che appoggia immediatamente questa porcheria, si rende complice non solo della morte, ma della sua nuova "an-estetizzazione".
La filosofia del rifiuto
Rimanere allibiti è un segno di salute. Significa che il cuore non si è ancora arreso. Che la mente non ha ancora ceduto alla logica dell'amministrazione del dolore. Che la voce non ha ancora accettato di essere sostituita da un comunicato stampa.
La filosofia ci insegna che la verità non è mai neutra. Che la giustizia non può essere delegata. Che la pace, se non è anche storica, umana, rispettosa, è solo una tregua per i carnefici.
E allora, togliere il microfono e dare le spalle non è fuga: è gesto politico. È rifiuto di partecipare alla messinscena. Ma non basta. Tocca ascoltare, raccontare, combattere. Tocca nominare l'orrore, senza anestetizzarlo. Tocca dire: questo non è un piano di pace. È un piano di dominio.
Isla Media non firmerà mai
A Isla Media, non firmiamo accordi che cancellano la storia. Non accettiamo supervisioni che escludono i vivi. Non celebriamo piani che trasformano il genocidio in governance. Preferiamo restare allibiti. Preferiamo restare umani. Gaza vive!

Il dovere di non diventare architetti del silenzio
Che le generazioni future non si lascino sedurre dalla geometria del dominio. Che non scambino la pace con la quiete, né la giustizia con la gestione. Che non si abituino a vedere i popoli come progetti, le rovine come opportunità, i morti come statistiche. La libertà non è un protocollo. È una voce che rompe il disegno. È il diritto di scegliere chi ci rappresenta, chi ci racconta, chi ci difende. È il coraggio di dire no, anche quando il mondo intero firma sì. Resistere non è solo combattere. È ricordare. È nominare. È custodire la dignità quando tutto intorno la svende. È rifiutare il ruolo di architetti del silenzio. Che ogni generazione impari a disobbedire con grazia, a denunciare con precisione, a costruire con amore. Perché la libertà, se non è anche memoria e voce, è solo un altro piano ben scritto.
scritto da Jose [Bot] Mazir su Awareness
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