Abisso di sangue e spaghetti: un inno al caos nella Città Proibita di Mainetti

12.08.2025

Immagina un'opera che pulsa come un cuore strozzato: Mei, guerriera senza volto e senza pietà, irrompe nella Roma notturna con la furia di un dio ferito. Le padelle diventano spade, le grattugie lame taglienti, e il kung fu si mischia alla cucina adolescenziale. In un piccolissimo locale dell'Esquilino, violenza e poesia si fondono con la naturalezza di un incubo lucido.


Una Roma fetida, immortale e romantica

La Capitale, qui, non è mai stata così sporca di dignità eppure così sopra le righe. L'amore nasce tra ferro da stiro e sangue rappreso, mentre l'Esquilino infonde nei protagonisti un dolore antico, un vaticinio d'odio e fusione, uno scontro tra mondi che si scrivono sul corpo. È un duello estetico e culturale dove il kung fu orientalista diventa specchio del nostro disordine morale.

Mei non è soltanto una vendicatrice: è un sopruso incarnato, una divinità spezzata dalla vendetta, plasmata dalla sofferenza del ricordo e dalla devastante assenza di chi era per lei divenuta indispensabile. Il film viaggia tra tradimento, vendetta e redenzione. Lei è pura estetica brutale, sopravvive a colpi impossibili, mentre Marcello è un uomo bruciato, nato dalle ceneri di un sogno familiare spezzato.


La natura ossimorica di Mainetti

Questo film è un ossimoro continuo: elegante e sporco, raffinato e ignobile, violento e romantico. Il regista cucina Tarantino, trita e unisce cinema d'azione orientale e cucina, tristezza e avidità nostrane. E lo fa con la mano ferma di uno chef furioso che vuole portare a tavola il caos — e farlo sembrare sublime.


I PERSONAGGI


Mei

Una silenziosa tempesta di dolcezza e volontà. Guerriera cinese in lotta tra Roma e i ricordi d'infanzia, Mei incarna il dolore nascosto sotto la pelle della metropoli. Il suo corpo è un campo di battaglia, le sue arti marziali non sono solo violenza, ma poesia in frantumi che diventa vendetta.

Marcello

Un giovane cuoco che affoga la propria esistenza tra carbonara e rimpianti. È l'esplosione di fragilità che incontra la furia. Al confronto con Mei, il suo mondo diventa improvvisamente affilato: un uomo che scopre di avere la propria forza nel caos di un amore imprevisto per Mei.

Lorena

La madre roccia, affaticata ma incandescente di speranza. Custode di un locale e di un sogno, è l'umanità che resiste tra le fessure della vita quotidiana, pronta a esplodere in tenerezza o collera quando serve.

Annibale

Il boss che ride sotto il cadavere del proprio errore. Figlio del rancore e della decadenza, è la personificazione del pregiudizio che geme nella nostalgia. La sua impotenza morale esplode in un ghigno che è come una spaccatura nel cuore della città.

Mr. Wang

Freddo, calcolatore, un re senza corona in un quartiere sospeso. È una figura di oppressione e tristezza, il confine tra potere e vuoto. Sotto la sua autorità si nasconde una fuga dolorosa tra obblighi e ricordi.

Alfredo

L'assenza che pesa come un macigno. Padre fuggito e sogno tradito, è l'origine del crollo emotivo che muove Mei e Marcello. Una ferita che pulsa sotto ogni gesto e che rende il dolore indelebile.


In un affresco visivo che taglia come un rasoio e accarezza con ardore, la regia di Gabriele Mainetti si conferma una forza sinestetica: ferisce e consola, come un incubo al "chiaro di luna". La macchina da presa danza tra ombre, nebbie e neon, tra sangue rappreso e amore soffocato, tessendo un inedito ossimoro cinematografico. La fotografia di Paolo Carnera, osannata tra le candidature di maggior prestigio, scolpisce ogni quartiere, ogni scontro, ogni gesto con eleganza ossessiva, trasformando Roma in un'opera viva e immortale. Non si tratta solo di un film: è un atto visivo di straordinaria potenza, un lampo di bellezza brutale che non può essere ignorato. Non perdetelo, da vedere assolutamente.



Immagina un'opera che pulsa come un cuore strozzato: Mei, guerriera senza volto e senza pietà, irrompe nella Roma notturna con la furia di un dio ferito. Le padelle diventano spade, le grattugie lame taglienti, e il kung fu si mischia alla cucina adolescenziale. In un piccolissimo locale dell'Esquilino, violenza e poesia si fondono con la...

Amare non è un atto di quiete, ma uno squarcio nel nostro ordine interiore, è l'irrompere del caos («caos») dentro i nostri schemi di senso («logos») che culmina in un'esplosione di pathos — al tempo stesso ferita e trasformazione.