La Gaza che fu: onde di libertà nello scatto di Andrew McConnell

19.08.2025

Nel 2015 il fotografo Andrew McConnell catturò un'immagine che, più di tante parole, raccontava la tenacia e la fragilità della Striscia di Gaza. Due ragazze, Sabah Abo Ghanem e sua cugina Kholoud, scivolavano tra le onde del Mediterraneo con le loro tavole da surf. Erano parte del piccolo ma determinato Gaza Surf Club, un gruppo di giovani che sfidava non solo il mare, ma i limiti imposti da un assedio invisibile e costante. Oggi ne parleremo al presente. Perché Gaza ancora vive!



Sabah Abo Ghanem è una delle figure simboliche del Gaza Surf Club, conosciuta a livello internazionale grazie al documentario Gaza Surf Club e alle fotografie che la ritraggono ancora bambina, mentre cavalca le onde del Mediterraneo davanti a Gaza. Era solo una ragazzina quando iniziò a surfare: il padre, ex bagnino, la portava in mare e la spingeva sulle onde. Insieme alla cugina Kholoud, diventò una delle poche ragazze di Gaza a praticare questo sport, sfidando non soltanto le difficoltà logistiche — la scarsità di tavole, le restrizioni del blocco, l'assenza di spazi organizzati. Il suo sorriso sulle onde divenne iconico: incarnava l'idea che anche a Gaza, tra distruzione e assedio, ci fosse spazio per sogni e libertà.
Nel documentario del 2016 appare come adolescente già consapevole dei limiti che il futuro le avrebbe imposto: "Quando sarò più grande, non potrò più surfare come adesso. La nostra società non lo accetterà, perché sono una donna". Una frase semplice ma devastante, che racchiude il peso di due muri: quello politico e quello culturale. Sabah, con la sua storia, rappresenta la resistenza tenera e ostinata di una generazione che non ha scelto di nascere sotto assedio, ma che cerca ugualmente di vivere, ridere, respirare. Il surf per lei non era un gioco, ma una forma di libertà personale, l'unico luogo dove sentirsi "normale". Oggi non ci sono molte notizie recenti su di lei: i riflettori internazionali si sono spenti e la sua vita è proseguita lontano dalle onde mediatiche. Ma resta come simbolo universale della Gaza che fu: una bambina che cavalca il mare per resistere alla prigione intorno a sé.


Il mare come orizzonte

A Gaza il mare non è soltanto un confine. È un orizzonte, un respiro, un richiamo alla libertà. Lungo i 40 chilometri di costa, i pescatori lottano per guadagnarsi da vivere, ostacolati dalle restrizioni che impediscono loro di spingersi oltre poche miglia nautiche. Eppure, tra reti strappate e barche di legno consumate dal sale, alcuni giovani hanno scelto di vedere nel mare qualcosa di diverso: una tavola su cui reggersi in piedi, un'onda su cui volare, un istante di normalità in un luogo che di normale ha sempre meno.

Ragazze sulle onde

Per Sabah e Kholoud, surfare significava sfidare due muri contemporaneamente: quello di cemento che cinge Gaza e quello invisibile della tradizione, che raramente ammette che le donne possano correre libere tra le onde in costume e tavola alla mano. Erano cugine, amiche, complici in un gioco pericoloso e bellissimo. La loro presenza in mare era più di un atto sportivo: era una dichiarazione di esistenza. "Anche noi siamo qui, anche noi abbiamo diritto al vento e alla schiuma delle onde".

Il club delle tavole

Il Gaza Surf Club, fondato nei primi anni 2000, non era soltanto un'associazione sportiva: era un rifugio. Le tavole arrivavano a fatica, spesso donate dall'estero e contrabbandate attraverso tunnel sotterranei. Ogni tavola era un tesoro, passata di mano in mano, rattoppata, custodita come fosse oro. Allenarsi significava condividere, improvvisare, resistere.

Il surf diventava così una lingua universale: nessun blocco poteva fermare il mare, nessuna barriera poteva fermare un'onda.

La Gaza che fu

Oggi guardando quelle immagini sembra di osservare una cartolina da un'altra epoca. La Gaza che fu — fatta di mercati rumorosi, di bambini che giocavano a pallone nei vicoli, di famiglie che la sera passeggiavano lungo la spiaggia — conviveva con l'ombra dei droni e con il rumore delle esplosioni lontane. Ma non era ancora completamente schiacciata. C'era spazio per la speranza, per l'infanzia, per una risata tra le onde.

Sabah e Kholoud, con le loro tavole troppo grandi per i corpi esili, incarnavano quell'attimo sospeso. Un gesto semplice come cavalcare un'onda diventava un manifesto di resistenza, un piccolo atto di ribellione poetica contro chi voleva ridurre Gaza a un campo chiuso, a un luogo di sopravvivenza senza sogni.

Epilogo

La fotografia di Andrew McConnell resta una testimonianza potente: Gaza non è soltanto macerie e dolore, ma anche desiderio di vita. Il mare, che bagna e imprigiona allo stesso tempo, è lo specchio di questa contraddizione.

La Gaza che fu vive ancora negli occhi di chi l'ha vista così: una terra ferita, certo, ma non ancora piegata. Ogni onda cavalcata da Sabah e Kholoud era un atto di resistenza dolce e radicale, un ricordo di ciò che Gaza poteva essere, e forse un giorno tornerà ad essere.



Onde di libertà: la Gaza che fu

di Jose Mazir

Nel 2015, sulle spiagge dorate della Striscia di Gaza, due ragazze scivolavano sulle onde con tavole da surf troppo grandi per i loro corpi esili. Sabah Abo Ghanem e sua cugina Kholoud erano diventate, quasi senza saperlo, il volto di una resistenza dolce e radicale: quella del Gaza Surf Club. Il fotografo Andrew McConnell immortalò quell'attimo, trasformando un semplice pomeriggio sul mare in un simbolo universale. In un luogo spesso raccontato soltanto attraverso guerre e macerie, quell'immagine mostrava un'altra verità: Gaza non era soltanto dolore, ma anche desiderio di vita.

Il mare, frontiera e rifugio

La costa di Gaza corre per circa 40 chilometri, una linea sottile che separa la sabbia dall'infinito blu del Mediterraneo. Per i pescatori, il mare è lavoro e rischio: le restrizioni israeliane impongono limiti severi, raramente oltre le 6 miglia nautiche, e sconfinare può significare vedersi confiscare la barca, se non peggio. Eppure, per molti giovani, il mare non è solo sopravvivenza. È evasione. È un orizzonte che non ha checkpoint. «Quando sei sull'onda, non senti più la gabbia», raccontava un surfista locale in un documentario.

Il Gaza Surf Club: tavole come passaporti

Fondato nei primi anni Duemila, il Gaza Surf Club nacque quasi per caso, grazie a pochi appassionati che riuscirono a procurarsi tavole dall'estero. Ogni arrivo era un evento: le tavole venivano spesso spedite in Egitto, poi introdotte a Gaza attraverso i tunnel di Rafah. Ogni pezzo era prezioso, riparato più volte, condiviso tra ragazzi e ragazze.

Il club non era solo un'associazione sportiva: era un luogo di respiro. Tra le mura di una città assediata, un piccolo gruppo di giovani imparava a stare in equilibrio su una tavola, a cadere e a rialzarsi, a sognare un mondo più grande.

Ragazze sulle onde

Per Sabah e Kholoud, surfare significava affrontare non una, ma due onde di resistenza. La prima era quella fisica, fatta di check-point, restrizioni, assenza di materiali. La seconda era culturale: in una società conservatrice, vedere delle ragazze in mare con tavole da surf non era normale. Eppure loro ci andavano lo stesso.

Cavalcare un'onda diventava così un atto politico, un'affermazione di esistenza. «Il mare è l'unico posto in cui mi sento libera», dichiarò Sabah in un'intervista qualche anno dopo.

La Gaza che fu

Allora Gaza non era ancora del tutto schiacciata. Nonostante le rovine delle guerre, la città viveva: i mercati erano pieni di colori e voci, i bambini giocavano a calcio nei vicoli polverosi, le famiglie la sera passeggiavano sul lungomare di al-Rashid, dove caffè e chioschi offrivano tè e falafel. Il contrasto era forte: droni che ronzavano sopra le teste e allo stesso tempo risate tra le onde. La fotografia di McConnell, nel 2015, colse proprio quel fragile equilibrio: un istante di vita normale, raro e prezioso.

Oggi, tra memoria e speranza

A distanza di anni, quella Gaza sembra lontana. I bombardamenti e le distruzioni più recenti hanno reso la vita quotidiana ancora più dura, e il mare stesso è diventato simbolo di isolamento oltre che di libertà. Molti dei giovani surfisti hanno lasciato la Striscia, inseguendo un futuro altrove. Altri resistono, come possono. Eppure la memoria di Sabah e Kholoud sulle onde resta. È una memoria che racconta la Gaza che fu: una terra ferita, sì, ma non ancora piegata del tutto. Ogni onda cavalcata da quelle due ragazze era un atto poetico di resistenza, un ricordo vivente che Gaza non è solo macerie, ma anche vita, sogni e un futuro possibile. Gaza vive ancora!



Andrew McConnell è un fotografo irlandese nato nel 1977, noto per il suo approccio documentaristico e il suo impegno nel raccontare storie di persone e luoghi spesso trascurati dai media internazionali. La sua carriera è iniziata come fotoreporter per un quotidiano a Belfast, durante gli ultimi anni del conflitto in Irlanda del Nord e la transizione verso la pace. Nel 2003 ha deciso di concentrarsi sulla fotografia documentaria, spinto dal desiderio di raccontare storie di persone e luoghi rimasti poco noti.

McConnell ha lavorato in profondità su temi come il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo, i rifiuti elettronici in Ghana, la vita a Damasco durante la guerra civile siriana e la cultura del surf nella Striscia di Gaza. Nel 2009 ha completato una serie sui popoli sahrawi del Sahara Occidentale, per la quale ha vinto il primo premio nella categoria "portrait story" ai World Press Photo Awards. Un progetto successivo, intitolato "Hidden Lives", ha esplorato la questione dei rifugiati urbani in otto città del mondo, risultando in mostre a Londra e New York.

Tra i numerosi premi ricevuti, McConnell ha vinto due primi premi ai World Press Photo Awards, quattro premi dalla National Press Photographers Association (incluso il prestigioso "Best of Show") e due Sony World Photography Awards. Le sue immagini sono apparse su pubblicazioni internazionali come National Geographic, Vanity Fair, Time, New York Times, Der Spiegel, Stern, Le Monde e Sunday Times Magazine.

Nel 2010, McConnell ha deciso di documentare la cultura del surf a Gaza, un'attività che, nonostante le difficoltà e le restrizioni, è emersa come una forma di espressione e libertà per i giovani palestinesi. Le sue fotografie hanno catturato momenti di speranza e resilienza, mostrando come il mare rappresenti uno spazio di libertà in un contesto segnato dal conflitto. Questa serie fotografica ha portato alla realizzazione del documentario Gaza Surf Club, diretto da Philip Gnadt e Mickey Yamine, che esplora la vita dei surfisti a Gaza e le sfide che affrontano.

Per approfondire il lavoro di Andrew McConnell, è possibile visitare il suo sito ufficiale: andrewmcconnell.com



Nel 2015 il fotografo Andrew McConnell catturò un'immagine che, più di tante parole, raccontava la tenacia e la fragilità della Striscia di Gaza. Due ragazze, Sabah Abo Ghanem e sua cugina Kholoud, scivolavano tra le onde del Mediterraneo con le loro tavole da surf. Erano parte del piccolo ma determinato Gaza Surf Club, un gruppo di giovani...

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