Sorveglianza e tecnologie israeliane: dal laboratorio dei territori occupati al mercato globale

14.05.2025

Le tecnologie di sorveglianza sviluppate da Israele rappresentano oggi uno dei punti di riferimento nel mercato globale della sicurezza. Non è un caso che molte di queste soluzioni vengano definite "provate sul campo", poiché spesso la loro efficacia è stata testata nei territori occupati palestinesi, dove il controllo della popolazione è capillare e pervasivo. Questo aspetto solleva interrogativi complessi e controversi, che toccano il confine tra innovazione tecnologica, diritti umani e sicurezza.


Il laboratorio dei territori occupati

"I territori occupati, oltre che un campo di battaglia, sono diventati un gigantesco laboratorio in cui la sorveglianza è estesa, grazie all'intelligenza artificiale, all'intera popolazione palestinese, a prescindere dal fatto di essere criminali o terroristi", spiega Meron Rapoport, direttore del sito Local Call. Questo contesto di test continuo permette alle aziende israeliane di sviluppare e perfezionare sistemi di controllo sempre più sofisticati.

Strumenti come telecamere ad alta risoluzione, software di riconoscimento facciale e piattaforme di analisi dei dati vengono utilizzati quotidianamente per monitorare la vita di milioni di palestinesi. Questi sistemi, progettati per garantire la sicurezza e prevenire atti di violenza, rischiano però di comprimere gravemente le libertà fondamentali.


Dal campo al mercato globale

Il know-how maturato nei territori occupati è diventato una delle principali armi competitive di Israele sul mercato internazionale della sicurezza. Numerosi governi, occidentali e arabi, acquistano queste tecnologie per proteggere le proprie infrastrutture critiche e monitorare potenziali minacce. Tuttavia, non sempre l'uso di questi strumenti è limitato alla lotta contro il terrorismo o la criminalità organizzata.

Un esempio significativo è rappresentato dal caso dello spyware Paragon, una tecnologia avanzata di spionaggio che può essere utilizzata per monitorare giornalisti, attivisti per i diritti umani e altri gruppi sensibili. Questo tipo di utilizzo mette in discussione l'equilibrio tra sicurezza nazionale e rispetto della privacy individuale.


Intelligenza artificiale e guerra: test sul campo e commercio globale

Israele non si limita alla sorveglianza quando si parla di tecnologie avanzate. L'uso dell'intelligenza artificiale nei bombardamenti, nei sistemi di riconoscimento e nelle operazioni di spionaggio è una parte integrante delle sue strategie militari. I territori occupati diventano il banco di prova di queste tecnologie, permettendo allo Stato ebraico di testare e perfezionare strumenti di guerra di precisione in contesti reali.

Tra i sistemi più noti ci sono i droni autonomi e i software che analizzano in tempo reale i dati raccolti dai sensori sul campo. Questi strumenti non solo incrementano l'efficacia delle operazioni militari, ma riducono i tempi decisionali, consentendo interventi rapidi e mirati. Il costo umano di queste operazioni, tuttavia, è spesso altissimo, con conseguenze devastanti per le popolazioni locali.

Una volta perfezionate, queste tecnologie vengono commercializzate a livello globale. Israele, leader nel settore della difesa, esporta sistemi che promettono di rivoluzionare le capacità belliche dei governi acquirenti. Questi strumenti, presentati come indispensabili per garantire la sicurezza nazionale, finiscono per essere utilizzati in contesti ben lontani dal teatro di guerra, spesso con applicazioni discutibili sul piano etico.



Implicazioni etiche e rischi globali

L'esportazione di tecnologie di sorveglianza solleva questioni etiche rilevanti. Se da un lato queste soluzioni possono contribuire a rafforzare la sicurezza, dall'altro possono essere utilizzate per reprimere il dissenso o perpetrare violazioni dei diritti umani. Nei territori occupati, il controllo massivo viene giustificato dal contesto di conflitto, ma quando queste tecnologie vengono applicate in Paesi democratici, il rischio di abusi non può essere ignorato.

In Italia, ad esempio, l'adozione di questi strumenti potrebbe avvenire in modo selettivo, mirato a specifici gruppi o individui. "Forse non su larga scala, ma come dovrebbe insegnarci il caso dello spyware Paragon, i sistemi di spionaggio e sorveglianza sperimentati qui potrebbero essere usati contro determinati gruppi", sottolinea ancora Rapoport.


Un futuro da definire

La questione centrale è come bilanciare l'esigenza di sicurezza con la tutela delle libertà individuali. In un mondo sempre più connesso e interdipendente, è fondamentale stabilire regole chiare e condivise per l'utilizzo di queste tecnologie. Ciò include la necessità di una maggiore trasparenza sui contratti di vendita e sull'uso effettivo degli strumenti acquistati, oltre all'introduzione di normative che proteggano la privacy e i diritti fondamentali.

Israele, con il suo ruolo di leader nel mercato della sicurezza, pone interrogativi che vanno ben oltre i confini del Medio Oriente. Le tecnologie di sorveglianza non sono solo strumenti, ma anche specchi delle società che le adottano. La loro diffusione potrebbe trasformare profondamente il modo in cui concepiamo libertà, diritti e sicurezza. La domanda è: siamo pronti ad affrontare queste sfide etiche? E, soprattutto, chi vigila sui guardiani?





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