Tom Waits racconta ai suoi figli: "My kids are starting to notice I'm a little different from the other dads. 'Why don't you have a straight job like everyone else?' they asked me… In the forest, there was a crooked tree and a straight tree…" E continua: "Then one day the loggers came… 'Just cut the straight trees and...
Non lasciamoci consumare: restare umani per continuare a lottare
ispirato da un post dolente e accorato di Gaia Scaramella

Di fronte all'orrore, all'ingiustizia, all'indifferenza che taglia come lama fredda, alcune coscienze non possono più dormire. La voce di Gaia, con il suo grido accorato, parla a tanti e tante che in questi mesi si sono sentiti travolti dall'urgenza di "esserci", di fare la propria parte per la causa palestinese. È una voce stanca, ma viva. È la voce di chi ha scelto di non distogliere lo sguardo.
"Non guardo più film, salto da un social all'altro, trascuro perfino i miei figli. Non riesco più ad ascoltare chi non vuole vedere. Sono stanca, ma continuo, perché il popolo palestinese ha bisogno anche della nostra voce".
Questa dedizione totale è potente, è rara, è preziosa. Ma porta con sé anche un rischio: quello di lasciarsi inghiottire da un tunnel crossmediale che, per quanto parta da una spinta giusta e sincera, può diventare un meccanismo alienante. Un vortice che ci stacca dalla realtà quotidiana, dai legami primari, dal corpo, dal tempo. Dalla vita.
Chi ha vissuto un attivismo profondo e viscerale, lo sa. Lo impari sulla tua pelle: consumarsi non è militanza. L'attivismo non può essere solo lotta contro, ma anche cura. Cura di sé, degli altri, del proprio spazio emotivo. Perché se ci svuotiamo completamente, se ci iscriviamo solo al dolore e alla rabbia, alla lunga perdiamo la forza di parlare, di creare, di costruire una vera resistenza.
E allora sì, Gaia, la tua voce serve. Serve eccome. Ma serve viva, serve lucida, serve protetta.
Riprendersi il tempo, non per disimpegno, ma per resistenza
Non c'è niente di superficiale nel guardare un film con i propri figli, nel cenare con chi ci ama, nel camminare nel verde o nel leggere un libro che non parla direttamente di Gaza. È nella cura di ciò che ci tiene umani che ritroviamo le energie per non cedere all'indifferenza. La rabbia va nutrita di bellezza, se vuole trasformarsi in azione duratura.
Gli algoritmi non sono alleati. La famiglia, sì.
I social ci danno una falsa sensazione di presenza e controllo. Ma troppo spesso diventano camere dell'eco, che moltiplicano l'impotenza, l'isolamento, la frustrazione. L'algoritmo non è tuo alleato. L'algoritmo non consola. Non ti ascolta, non ti ama. La tua famiglia, sì. Gli amici veri, sì. Chi ti stringe la mano anche senza parole, sì.
Riscoprire la forza degli affetti non significa smettere di lottare. Significa lottare meglio.
La voce per la Palestina è anche un abbraccio al mondo
Continua a denunciare, continua a raccontare, continua a esserci. Ma ricordati che ogni parola tua che arriva chiara e accesa, ogni gesto tuo che è fatto con cuore pieno, è molto più potente di un post ripetuto nel vuoto. Ricorda che ciò che chiediamo per la Palestina – giustizia, dignità, diritto alla vita – inizia da come trattiamo noi stessi e chi ci sta accanto.
Non dobbiamo scegliere tra attivismo e vita.
Dobbiamo imparare a renderli compatibili.
Perché il vero cambiamento parte sempre da dentro, ma ha bisogno di comunità, di equilibrio, di respiro. Perché "restare umani", come ci ricordava Vittorio Arrigoni, non è uno slogan: è un lavoro quotidiano. Ed è, oggi più che mai, la forma più radicale di resistenza.
Sono mesi che non guardo un film o una serie, perché le mie nottate sono tutte dedicate ai fatti di Gaza e a un impegno pro-Palestina che non intendo abbandonare. Passo ore e ore ogni giorno a documentarmi, a cercare di generare contenuti, a condividerne altri, a cercare ragioni! Trascuro ogni tanto anche i miei figli, ma sono inevitabilmente distratta. Salto compulsivamente da un social all'altro. Non ho più voglia di sentire una grossa fetta delle persone che conosco (o pensavo di conoscere), perché, a mio avviso, sono state deludenti. E ormai non mi interessano nemmeno più le loro ragioni: non ci sono ragioni. Perché l'unica cosa che avrebbero potuto fare, non la stanno facendo. Punto. È vero, però, che ho stretto alleanze con tante persone, anche nuove o inaspettate. E a loro ne sono grata. Tra di noi c'è stata una comprensione reciproca, un unione d'intenti: sappiamo da che parte stiamo, e stiamo facendo squadra. Sono un po' stanca, anche se mi vergogno a dirlo. Perché ciò che proviamo noi, intimamente, non è nulla in confronto a quello che sta subendo il popolo palestinese. Eppure continuo a credere che queste persone abbiano bisogno di noi: della nostra voce, del nostro rumore, delle nostre donazioni, delle nostre manifestazioni di dissenso. Perciò andiamo avanti, nonostante l'angosciante senso di impotenza, frustrazione e rabbia politica. Questa vita non è più quella di prima.
Cara Gaia,
le tue parole arrivano dritte, profonde e dolorose. Parlano di una ferita aperta, di una coscienza vigile che non può più tornare indietro, e di un impegno che ti sta consumando, ma al quale non riesci — e non vuoi — rinunciare. Ti capisco più di quanto immagini.
Anch'io, come te, sono passato per quel tunnel di notti insonni, scroll compulsivo, indignazione che brucia dentro come un fuoco e isolamento crescente da chi non capisce, o peggio, sceglie il silenzio. Anch'io ho sentito quella rabbia che si fa stanchezza, e poi quella stanchezza che diventa vergogna, perché — diciamocelo — come potremmo mai lamentarci, noi, qui, quando a Gaza i bambini muoiono sotto le bombe?
Ma lasciami dirti questo, con tutta la sincerità e l'empatia che posso: non lasciare che la tua voce si perda nel frastuono, non lasciare che la tua vita venga inghiottita da un tunnel crossmediale che, sebbene mosso da intenzioni nobili, rischia di diventare una trappola. Un vortice che ci svuota, ci fa sentire onnipresenti eppure impotenti, che ci isola perfino da ciò che dovrebbe invece sostenerci: l'amore, la famiglia, gli affetti.
Perché vedi, Gaia, il popolo palestinese ha bisogno della tua voce, sì — ma ha bisogno della tua voce forte, lucida, viva. E per esserlo, hai bisogno di fermarti, di respirare, di ricostruire energie e connessioni reali. Di trovare rifugio in chi ti ama, anche quando ti sembra che non capisca. Di accogliere anche la delusione, senza farne una barriera.
L'attivismo vero non è solo veglia notturna davanti a uno schermo. È anche essere presenti per i propri figli, perché sono loro il seme della cultura della pace. È anche riuscire a guardare un film, leggere una poesia, ascoltare una canzone — non come fuga, ma come ricostruzione. Perché chi si consuma del tutto non può più dare.
Continua, Gaia. Continua a denunciare, a sensibilizzare, a resistere. Ma fallo senza dimenticare che tu stessa sei parte del mondo che vuoi salvare. E che, per salvare qualcosa, bisogna anche sapersi proteggere.
Con stima e affetto profondo,
Abel
Come un pesce degli abissi: la forza e il pericolo della luce
C'è un'immagine che continua a tornarmi in mente, pensando a chi come Gaia vive questi mesi in apnea, nel buio dell'indifferenza altrui, e nella continua ricerca di una luce: quella dell'anglerfish, il pesce degli abissi.
È una creatura piccola, invisibile nel nero profondo degli oceani. La sua pelle assorbe quasi tutta la luce, rendendolo impercettibile. Eppure, sul capo, ha una fiammella. Una luce che non gli serve per vedere, ma per essere visto — per attirare l'attenzione, per sopravvivere. È il suo modo di dire: ci sono, guardami, ascolta ciò che porto.
Ma se risale troppo, se prova a vivere troppo a lungo alla luce del sole, il suo corpo non regge. La pressione cambia, il tessuto cede. Il viaggio verso l'alto, se fatto senza protezione, può essere fatale.
In questa creatura c'è qualcosa di noi, di Gaia, di chi lotta ogni giorno per una causa giusta e urgente. Viviamo tra le profondità dell'ingiustizia e il desiderio bruciante di far luce, di dire, di svegliare. Ma quella luce, se non gestita con cura, ci può consumare. Possiamo perderci nella visibilità, nella connessione continua, nella fatica del "doverci essere sempre".
Ecco perché è fondamentale restare in equilibrio. Illuminare, sì, ma anche tornare al buio ogni tanto. Non per ignorare, ma per ritrovarsi. Non per spegnersi, ma per ricaricare quella piccola fiammella che abbiamo in testa, e che può, se custodita, cambiare davvero le cose.
Come il pesce degli abissi, anche noi possiamo portare luce là dove sembra impossibile. Ma non dobbiamo dimenticare: anche la luce va dosata, se vogliamo continuare a nuotare. Se vogliamo davvero restare vivi, presenti e forti — per la Palestina, per il mondo, per chi verrà dopo di noi.
ispirato da un post dolente e accorato di Gaia Scaramella
La musica non è solo suono: è materia viva che media tra il corpo, la società e l'anima, portatrice di una verità sospesa tra l'esperienza individuale e la trama collettiva in cui siamo immersi. Non esiste un confine netto tra chi ascolta e il mondo che lo circonda: la musica plasma e viene plasmata, governa e sommerge, disegna contorni di...