Misericordia è un atto unico che brucia i palcoscenici di teatro e schermi di cinema, plasmando la miseria in poesia e trasformando la ferita dell'esistenza in un frammento sacro, in cui la pietà non è pietismo, ma conoscenza del dolore come proprio, una redenzione condivisa. In questa fiaba contemporanea, Arturo diventa il simbolo di...
Misericordia: la pietà carnale che diventa luce
Misericordia è un atto unico che brucia i palcoscenici di teatro e schermi di cinema, plasmando la miseria in poesia e trasformando la ferita dell'esistenza in un frammento sacro, in cui la pietà non è pietismo, ma conoscenza del dolore come proprio, una redenzione condivisa. In questa fiaba contemporanea, Arturo diventa il simbolo di una resistenza luminosa. La sua innocenza non è ingenua, ma attiva: illumina, trasforma, ribalta. È come se la sua presenza rivelasse che la miseria non è solo condanna, ma anche terreno fertile per la rinascita.
Il teatro di Emma Dante è corporeo, sanguigno, feroce eppure sospeso nella poesia: nelle tre attrici si intrecciano litigi, gelosie e affetto indissolubile, in una danza tragica e necessaria. La fisicità diviene linguaggio, il dialetto strumento di verità, il palcoscenico spazio sacro dell'umano ferito. Nel quale il corpo non è solo veicolo, ma verbo. Le attrici non "recitano": vivono, si scontrano, si amano con una fisicità che diventa grammatica emotiva. Ogni gesto è carico di senso, ogni movimento è una sillaba di dolore o desiderio. Attorno al giovane Arturo, creatura imperfetta e ipercinetica, si sviluppa un cortocircuito emozionale tra le tre donne (prostitute) che lo accudiscono. Si qualifica così una maternità non biologica, ma spirituale, un "atto politico e poetico" che rinnova radicalmente cosa significhi aver pietà — non pena, ma compassione che genera vita.
Arturo porta in sé la forza archetipica del "figlio della luce nato nell'ombra". Il suo ingresso nel mondo è segnato da una perdita, ma anche da un dono: la cura collettiva, femminile, che lo accoglie e lo forma. È un personaggio che sembra uscito da una fiaba mediterranea, ma con i piedi ben piantati nella terra aspra della Sicilia. Il piccolo paese sul mare non è solo sfondo, ma personaggio. Con le sue reti, le sue barche, le sue case scrostate, diventa teatro di una quotidianità dura e poetica.
Arturo cresce tra odori di salsedine e urla di mercato, tra superstizioni e silenzi che parlano più delle parole. La morte della madre biologica apre la strada a una maternità diffusa. Le donne del borgo – forse prostitute, vedove, sorelle – si fanno madri simboliche, ciascuna donando ad Arturo un frammento di sé: una carezza, una storia, una regola. È un'educazione sentimentale fatta di gesti, di cibo condiviso, di sguardi complici.
Arturo non nega il degrado che lo circonda, ma lo attraversa con uno sguardo che trasfigura. La sua innocenza non è cieca, ma capace di vedere oltre. In ogni crepa del muro, in ogni litigio tra vicini, coglie una scintilla di umanità. È come se il mondo gli parlasse in una lingua segreta che solo lui comprende.
Arturo non è un eroe nel senso classico. Non cambia il mondo, non lo redime. Ma lo illumina. La sua presenza è come una candela accesa in una stanza buia: non cancella le ombre, ma le rende visibili. E in questo, c'è già una forma di salvezza.
Il film: un ponte tra teatro e realtà
La trasposizione cinematografica – presentata al Festival di Roma e acclamata dalla critica – conserva questa densità poetica e fisica. Con una regia che evoca Pasolini, Misericordia è definito "visceral and intense", un'opera implacabile che non risparmia né lo sguardo né il cuore.
Misericordia pone una domanda che risuona oltre la scena: cos'è la misericordia, oggi?
Emma Dante risponde che è un sentimento estinto, che trascende il giudizio e richiede empatia profonda — non pietismo, ma condivisione della sofferenza come proprio dolore.
È una proposta artistica radicale: trasformare il teatro e il cinema in veicoli di verità. Non muscoli narrativi o colpi di scena, ma corpi, gesti, silenzi. Non espedienti emotivi, ma uno specchio spietato e compassionevole della fragilità umana.
Misericordia è un'opera che non si può guardare distrattamente. È una fiaba ferita che chiede onorabilità alla miseria, dolcezza nel dolore e responsabilità verso gli invisibili. È un invito — e un pugno nello stomaco — a riconoscere l'umanità là dove spesso vogliamo chiudere gli occhi.
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