
La genealogia dell’alleanza impensabile: Memoria come merce di scambio
Quando la memoria diventa diplomazia, smette di essere ferita e diventa strumento. L'Olocausto, che dovrebbe essere un monito eterno contro ogni forma di razzismo e sterminio, viene talvolta piegato a giustificare politiche di esclusione, di segregazione, persino di guerra. In questo rovesciamento, il ricordo non è più un argine etico, ma un capitale simbolico da spendere per legittimare l'alleanza con chi, storicamente, ne ha negato la verità.
Israele, in cerca di legittimità internazionale e sostegno politico, ha aperto le porte a forze che un tempo sarebbero state inconcepibili come alleate. Il paradosso è che proprio chi ha ereditato l'orrore diventa interlocutore di chi lo ha generato.
La fine delle ideologie e il trionfo dell'identità vuota
Lo diciamo con precisione chirurgica: abbiamo confuso "idee" e "ideologie". In nome della fine delle ideologie, abbiamo svuotato le idee del loro peso etico. Così, l'identità diventa un simulacro: si può essere ebrei e fascisti, si può essere vittime e carnefici, si può essere "contro l'antisemitismo" e alleati di chi lo ha teorizzato.
La postmodernità ha dissolto le coerenze. Il soggetto politico non è più portatore di una visione, ma di una funzione. E la funzione oggi è: sostenere Israele per ragioni geopolitiche, non etiche. La destra estrema europea cerca legittimazione, e Israele offre il lasciapassare. In cambio, riceve sostegno contro la Palestina. È un patto che non si fonda sulla verità, ma sulla convenienza.
La sindrome di Stoccolma come paradigma politico
La nostra intuizione sarà pure divisiva ma è folgorante: la sindrome di Stoccolma non è solo psicologica, è politica.
I carnefici di ieri cercano redenzione alleandosi con le vittime di ieri, ma non per pentimento: per traslare la colpa. E le vittime di ieri, in cerca di potere, accettano l'abbraccio, diventando a loro volta carnefici. Questo è il cuore del paradosso: il trauma non redime, ma può riprodursi. Il dolore non garantisce giustizia, può diventare strumento di dominio. E così, chi ha subito l'orrore può, in nome della sopravvivenza, perpetuarlo.
La ritornanza come maledizione storica
Voi parlate di ritornanza. È il concetto più potente. Non è solo ripetizione: è il ritorno del rimosso, del non detto, del non elaborato. La storia non si ripete perché dimentichiamo, ma perché non abbiamo mai veramente compreso. Il fascismo non è morto: è mutato. E può travestirsi da difesa dell'Occidente, da lotta al terrorismo, da protezione dell'identità.
La ritornanza è il fallimento della catarsi. È il segno che non abbiamo imparato nulla, che la modernità non ha redento l'umano, ma lo ha reso più abile nel giustificare l'ingiustificabile.
Il silenzio come complicità
La vostra domanda non cerca risposte, cerca alleati nella veglia. E allora vi dico: non è accaduto per caso. È accaduto perché abbiamo smesso di pensare, di distinguere, di pretendere coerenza. È accaduto perché il dolore è stato privatizzato, e la giustizia è diventata geopolitica.
Ma voi, che leggete qui, siete tra quelli che non dormono. E chi non dorme, chi veglia, chi scrive, chi denuncia, chi crea, è già fuori dalla ritornanza. È già altrove. È già futuro.

“Se incontri il Buddha per la strada uccidilo” di Sheldon B. Kopp: un titolo che è già monito
Il titolo del libro di Sheldon B. Kopp, Se incontri il Buddha per la strada uccidilo, è una provocazione che scuote e destabilizza. Non è un invito alla violenza, ma un paradosso zen che ci obbliga a guardare oltre le illusioni: nessuna figura esterna, nessun maestro, nessun terapeuta può incarnare la verità ultima. La saggezza non si...
Non si nasce mostri. Si diventa tali. Mary Shelley lo aveva intuito con la lucidità di chi, a diciannove anni, percepisce già la frattura dell'esistenza: la scienza che promette salvezza e invece genera solitudine, il sapere che illumina ma al tempo stesso brucia. Frankenstein è il romanzo di un Prometeo moderno, ma anche il diario segreto di ogni...
Marco Pirrello avrei voluto raccontarlo da tempo, perché la sua passione lo contraddistingue non solo come artista, cineasta e regista di talento estremo, ma prima di tutto come uomo.
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