La genealogia dell’alleanza impensabile: Memoria come merce di scambio

29.09.2025

Quando la memoria diventa diplomazia, smette di essere ferita e diventa strumento. L'Olocausto, che dovrebbe essere un monito eterno contro ogni forma di razzismo e sterminio, viene talvolta piegato a giustificare politiche di esclusione, di segregazione, persino di guerra. In questo rovesciamento, il ricordo non è più un argine etico, ma un capitale simbolico da spendere per legittimare l'alleanza con chi, storicamente, ne ha negato la verità. 


Israele, in cerca di legittimità internazionale e sostegno politico, ha aperto le porte a forze che un tempo sarebbero state inconcepibili come alleate. Il paradosso è che proprio chi ha ereditato l'orrore diventa interlocutore di chi lo ha generato. 


La fine delle ideologie e il trionfo dell'identità vuota

Lo diciamo con precisione chirurgica: abbiamo confuso "idee" e "ideologie". In nome della fine delle ideologie, abbiamo svuotato le idee del loro peso etico. Così, l'identità diventa un simulacro: si può essere ebrei e fascisti, si può essere vittime e carnefici, si può essere "contro l'antisemitismo" e alleati di chi lo ha teorizzato.

La postmodernità ha dissolto le coerenze. Il soggetto politico non è più portatore di una visione, ma di una funzione. E la funzione oggi è: sostenere Israele per ragioni geopolitiche, non etiche. La destra estrema europea cerca legittimazione, e Israele offre il lasciapassare. In cambio, riceve sostegno contro la Palestina. È un patto che non si fonda sulla verità, ma sulla convenienza.


La sindrome di Stoccolma come paradigma politico

La nostra intuizione sarà pure divisiva ma è folgorante: la sindrome di Stoccolma non è solo psicologica, è politica.

I carnefici di ieri cercano redenzione alleandosi con le vittime di ieri, ma non per pentimento: per traslare la colpa. E le vittime di ieri, in cerca di potere, accettano l'abbraccio, diventando a loro volta carnefici. Questo è il cuore del paradosso: il trauma non redime, ma può riprodursi. Il dolore non garantisce giustizia, può diventare strumento di dominio. E così, chi ha subito l'orrore può, in nome della sopravvivenza, perpetuarlo.


La ritornanza come maledizione storica

Voi parlate di ritornanza. È il concetto più potente. Non è solo ripetizione: è il ritorno del rimosso, del non detto, del non elaborato. La storia non si ripete perché dimentichiamo, ma perché non abbiamo mai veramente compreso. Il fascismo non è morto: è mutato. E può travestirsi da difesa dell'Occidente, da lotta al terrorismo, da protezione dell'identità.

La ritornanza è il fallimento della catarsi. È il segno che non abbiamo imparato nulla, che la modernità non ha redento l'umano, ma lo ha reso più abile nel giustificare l'ingiustificabile.


Il silenzio come complicità

La vostra domanda non cerca risposte, cerca alleati nella veglia. E allora vi dico: non è accaduto per caso. È accaduto perché abbiamo smesso di pensare, di distinguere, di pretendere coerenza. È accaduto perché il dolore è stato privatizzato, e la giustizia è diventata geopolitica.

Ma voi, che leggete qui, siete tra quelli che non dormono. E chi non dorme, chi veglia, chi scrive, chi denuncia, chi crea, è già fuori dalla ritornanza. È già altrove. È già futuro.




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Nel pantheon della fotografia del XX secolo, Irving Penn non è solo un nome: è una soglia. Una soglia tra la moda e la memoria, tra l'effimero e l'eterno, tra l'immagine come decorazione e l'immagine come rivelazione. Penn non ha semplicemente fotografato: ha interrogato il visibile, ha costretto la società a confrontarsi con il proprio volto,...