
Il Sud come destino e contraddizione nella "Razza Maledetta" di Vito Teti
Ci sono libri che non si limitano a descrivere un luogo, ma lo incarnano. Questo testo sul Sud è uno di quelli: non un semplice racconto geografico o sociologico, ma un viaggio nella memoria, nella nostalgia e nelle contraddizioni che abitano chi è nato e cresciuto tra fichi d'India e papaveri, tra processioni e funerali, tra ospitalità e diffidenza. A voi la recensione di un libro che racconta l'anima meridiana.
Il Sud come identità plurale
Il libro non offre definizioni nette. Al contrario, mostra il Sud come un insieme di immagini e contrasti: maledizione e benedizione, mantello di spine e distesa di profumi. Casa e paura di perderla, luogo che si ama e si odia, da cui si fugge e a cui si ritorna. Paesaggio e corpo, perché chi nasce al Sud resta per sempre radicato nella terra, nei volti dei genitori, nei profumi e nei colori che lo hanno formato.
Il Sud diventa così un'identità che non si esaurisce mai, un "non luogo" che vive dentro chi lo porta con sé, anche lontano.
La gente del Sud: tra memoria e contraddizione
Il libro restituisce la complessità antropologica e culturale delle persone del Sud: chiuse e diffidenti, ma anche accoglienti e ospitali. Capaci di rancore e di perdono. Legate ai defunti che non muoiono mai, ai sogni che si fanno e alle fughe che si immaginano. Abituate a rimandare a domani, ma anche a fare subito le cose più faticose.
Questa oscillazione continua tra opposti diventa la cifra di un popolo che vive di memoria e di relazioni, di rituali e di improvvise ribellioni.
Il Sud come metafora universale
Il testo non parla solo di un territorio geografico. Il Sud diventa una metafora universale: è luogo e non luogo, reale e immaginato. È prigionia e libertà, radice e fuga. È mondo che rischia di scomparire, ma anche promessa di un futuro che non si lascia definire.
Il Sud, in questo libro, è un destino che non si può abbandonare, un'eredità che plasma i volti e i caratteri, un paesaggio interiore che accompagna chiunque abbia un legame con la terra.
Perché leggerlo
Questo libro non si limita a raccontare: interroga. Ogni pagina è un invito a chiedersi chi siamo, da dove veniamo, a chi apparteniamo. È un testo che parla di radici e di nostalgia, ma anche di trasformazione e di perdita. Non finisce il mondo, scrive l'autore, ma può finire un mondo: quello che conosciamo, quello che ci ha formati.
Un altro Sud
Il Sud è racconti, immagini provenienti dal passato e la loro contraddizione, è maledizione e benedizione, mantello di spine e distesa di piante profumate, processione e funerale. È la casa e la paura di perderla, il paese che ami e che odi, da cui vorresti fuggire e da cui non capisci perché sei fuggito. In nessun luogo come al Sud la gente si alza e si domanda: che ci faccio qui? Perché non sono partito per sempre?
Se sei nato al Sud resterai sempre fico d'india e fico, grano e mais, uva zibibbo e uva fragola, ginestra e papaveri, nuvole basse e nuvole alte, nuvole di ogni colore e forma. Resterai paesaggio, profumo, dolore, colore. Se sei nato al Sud, sarai per sempre figlio e madre insieme, amerai e odierai le persone che ti appartengono, assomiglierai a qualcuno dei tuoi, e col tempo prenderai i volti e il carattere di tuo padre. Se vivi altrove, potrai vederlo solo nello specchio, e sentirai nostalgia, perché soltanto là, nel Sud dove sei nato, potranno dirti a chi appartieni, da dove vieni, se somigli più al padre o alla madre, o se non si riesce a capire da chi tu abbia ereditato i tratti della tua vita.
Noi, le persone del Sud, siamo ora chiusi, cupi e diffidenti, ora aperti, accoglienti e ospitali. Siamo i nostri defunti che non muoiono mai, siamo i sogni che facciamo, siamo le fughe che immaginiamo, siamo quelli che sanno aspettare e quelli che, impazienti, si ribellano. Noi rimandiamo sempre a domani, noi facciamo subito e in fretta le cose più faticose. Noi rispettiamo gli impegni e la parola data e poi ci accorgiamo che gli altri perdoneranno le nostre inadempienze. Noi siamo quelli che portano rancore e quelli che, con più facilità, sono capaci di perdonare. Noi siamo quelli che dicono all'altro "non mangerai più con me" e poi, con lo stesso, organizzano interminabili banchetti. Noi che arriviamo sempre e noi che non arriviamo mai. Noi del Sud, del mio Sud, camminiamo nella notte per accompagnare a casa sua il nostro amico e poi torniamo a casa in compagnia dello stesso. Noi, con i nostri saluti che durano un'eternità perché non vorremmo lasciarci mai, e noi che ci lasciamo per sempre senza riuscire a dire arrivederci. Siamo il sangue, le vene, i solchi, i burroni, le acque, le pietre, le piante, gli animali, le ombre, la luminosità, il vuoto, il pieno, il fuoco, il vento, le nuvole. Noi siamo come tutti quelli che hanno ancora un legame con la terra.
Io non so davvero cosa sia il Sud e al contempo io del Sud so tutto, perché il Sud sono io, siamo noi. Noi, diversi come siamo, siamo tutti Sud e tutti Mondo. Amo il Sud, ma non so spiegare perché. A volte al Sud mi sento prigioniero, ma non capisco se mi sono intrappolato da solo o lo hanno fatto gli altri, la vita. Noi del Sud siamo i primi e gli ultimi, gli incompresi e i più cercati. Il Sud è un luogo e un non luogo, il Sud non si svela mai del tutto, ed è per questo che ognuno ha il suo Sud. È per questo che i Sud non finiscono mai.
Ma è questo Sud – reale e inventato, percepito e immaginato, denso e mobile – che oggi rischia di scomparire insieme al mondo di ieri, mentre noi restiamo ignari dei contorni che assumerà il futuro che sta nascendo. Non finisce il mondo, certo, ma può finire un mondo.
Vito Teti
Condivido con profonda stima e affetto il nuovo lavoro di Vito Teti, La razza maledetta, che torna in libreria in una versione aggiornata e ampliata. Un libro che non è semplicemente "sul Sud", ma contro quel dispositivo culturale e politico che — da secoli — ha costruito il Sud come alterità, come luogo da colonizzare simbolicamente prima ancora che materialmente. Vito è uno di quei pensatori rari che sanno fare ciò che oggi serve più che mai: decolonizzare l'immaginario, smontare narrazioni tossiche, svelare genealogie di potere che ancora plasmano i nostri territori. Il suo lavoro ci ricorda che il razzismo antimeridionale non è una parentesi folkloristica del passato, ma un meccanismo strutturale che ritorna oggi sotto nuove forme: dall'autonomia differenziata alla gestione miope del PNRR, fino allo spopolamento dei borghi e alla fuga dei giovani. Come studiosi, attivatori territoriali e meridiani per vocazione, abbiamo il dovere di affrontare tutto questo non con piagnistei identitari, ma con un pensiero critico che sappia trasformare la presunta "maledizione" in un nuovo paradigma culturale, capace di collegare il nostro Sud a tutti i Sud del mondo. Il meridione non è un luogo arretrato da recuperare: è una lente attraverso cui leggere le storture del presente globale. È un laboratorio, spesso non riconosciuto, di resistenza, convivialità, mutualismo, cura dei territori e innovazione dal basso. Per questo il libro di Vito è necessario. Perché parla del Sud, sì, ma soprattutto ci parla di noi, del modo in cui siamo stati guardati e del modo in cui possiamo — e dobbiamo — tornare a guardarci. Invito chi mi segue a leggerlo. Non è solo un atto culturale: è un atto politico, nel senso più nobile del termine". (Alex Giordano)
Vito Teti è uno dei più importanti antropologi italiani contemporanei, noto per i suoi studi sul Sud, sull'emigrazione, sulla nostalgia e sul rapporto tra memoria e luoghi.
Biografia e carriera
Nato a San Nicola da Crissa (Calabria) nel 1950, Teti ha insegnato Antropologia culturale all'Università della Calabria (Unical). Ha fondato il Centro di Antropologia e Letterature del Mediterraneo, un laboratorio di ricerca che intreccia scienze sociali e narrazione. È stato consulente scientifico per la RAI, contribuendo a programmi e documentari sulle feste popolari e sui paesi abbandonati.
Temi centrali della sua ricerca
Restanza: concetto chiave elaborato da Teti, che indica la scelta di restare nei paesi d'origine nonostante lo spopolamento, trasformando la permanenza in un atto creativo e politico. Melanconia e nostalgia: indaga come questi sentimenti plasmino le comunità e le identità, soprattutto nel contesto dell'emigrazione. Antropologia dell'alimentazione: ha studiato il cibo come memoria e identità, diventando referente italiano dell'Associazione Europea di Antropologia dell'Alimentazione. Paesi abbandonati e spopolamento: riflette sul destino delle aree interne del Mezzogiorno e sulla possibilità di rigenerarle attraverso nuove forme di comunità.
Opere principali
Tra i suoi libri più significativi:
Il senso dei luoghi (2004) – sul rapporto tra memoria e paesi abbandonati. Uscito per la prima volta nel 2004 e subito ristampato, Il senso dei luoghi è divenuto un libro di culto, che ha superato i confini dell'etnologia e dell'antropologia e ha conquistato migliaia di appassionati lettori che lo hanno adoperato come una chiave per la riscoperta delle dimensioni della memoria.
La razza maledetta (2011) – analisi dei pregiudizi antimeridionali.
Maledetto Sud (2013) – riflessione sulle contraddizioni del Mezzogiorno.
Pietre di pane. Un'antropologia del restare (2014) – manifesto della "restanza".
Quel che resta. L'Italia dei paesi (2017) – sul futuro dei borghi italiani.
L'Italia dei paesi, tra abbandoni e ritorni Paperback – 1 Jun. 2017 «Mentre scrivo queste righe, il campanile di Amatrice cade sotto la forza del terzo terremoto che ha colpito, in meno di sei mesi, i paesi dell'Italia centrale. L'immagine del campanile viene riproposta ossessivamente. È una sequenza che angoscia e che però chiede di essere guardata e riguardata. Le immagini delle rovine, le visioni dei vuoti, delle assenze, dei luoghi a cui è stata sottratta la vita sono immagini perturbanti di cui abbiamo bisogno». Scrive così Vito Teti, nell'incipit di questo libro che riannoda il filo di una riflessione iniziata quindici anni fa con Il senso dei luoghi, un saggio che ha dato vita a un vero e proprio filone a cavallo tra antropologia, reportage, letteratura e fotografia. Nell'immagine del campanile di Amatrice, Teti scorge un mondo ben più vasto, che va anch'esso inesorabilmente franando. Mentre i grandi agglomerati urbani si preparano a ospitare la gran parte della popolazione mondiale, interi territori si spopolano. E lo spopolamento è la cifra delle aree interne di numerose regioni d'Italia e d'Europa. Di fronte a questo scenario, l'antropologo coglie l'abbandono come la forma culturale dello spopolamento e si chiede: cosa fare dei segni del passato, delle schegge di un universo esploso? Nella prospettiva di Teti, il passato può e deve essere riscattato come un mondo sommerso di potenzialità suscettibili di future realizzazioni. In agguato, certo, c'è il rischio che la retorica e la nostalgia restaurativa seppelliscano quel poco che, del paese, resta. Viceversa, la nostalgia positiva, costruttiva può essere sostegno a innovazione, inclusione e mutamento. Se la nostalgia diventa una strategia per inventare il paese, allora quel che resta è ancora moltissimo. L'antropologia dell'abbandono e del ritorno, di cui Teti definisce in queste pagine i tratti essenziali, è un tentativo d'interpretazione dei luoghi a partire da quel che resta, e che occorre ascoltare, prendendosene cura. Come scrive Claudio Magris nella prefazione: «In questo libro di scienza e di poesia c'è una profonda partecipazione al destino nomade e ramingo non solo degli emigranti partiti con le loro povere cose, ma di ognuno, delle stesse civiltà, del loro nascere e passare, ma forse mai definitivamente».La restanza (2021) – approfondimento sul diritto e sul dovere di restare.
Attualità e impatto
Oggi Teti è una voce autorevole nel dibattito sulla rigenerazione delle aree interne e sul futuro dei borghi italiani. Nei suoi interventi pubblici sottolinea come il restare non sia immobilità, ma un modo di reinventare i paesi e di dare senso ai luoghi.
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