
Corpi che pensano, mondi che nascono: un monito per chi non vuole comprendere i giovani
Viviamo un tempo che ha smarrito il "corpo pensante". Lo ha ridotto a superficie, a immagine, a prestazione. Eppure, il corpo è il primo pensiero. È il luogo dove il mondo ci tocca e dove noi lo tocchiamo. È il gesto che precede la parola, il movimento che genera lo spazio, la carne che sente prima di sapere. I giovani lo sanno, anche quando non lo dicono. Lo vivono, lo incarnano, lo gridano con ogni passo, ogni sguardo, ogni silenzio. Chi non li comprende, chi li giudica, chi li osserva da fuori come fossero oggetti da correggere, ignora questa verità: siamo il nostro corpo negli orizzonti che ci appartengono e ci contengono. Non c'è identità senza spazio, non c'è libertà senza movimento. E non c'è futuro senza la possibilità di disegnare mondi nuovi con occhi e mani che toccano la vita.
Pensare con il corpo: la filosofia che cammina
Non è uno studio su Merleau-Ponty, ma una ricerca che pulsa. Una filosofia che non si chiude nei libri, ma si apre nei gesti. Il Visibile e l'Invisibile non è solo un testo: è una soglia. Una soglia che ci invita a muoverci nello spazio sfumato del non-finito, dove ogni percezione è un atto creativo, dove ogni relazione è una possibilità di mondo.
I giovani abitano questo spazio. Lo esplorano con il cinema, con il teatro, con l'arte. Non cercano risposte, cercano esperienze. Non vogliono essere spiegati, vogliono essere attraversati. E chi non li comprende, chi li vuole incasellare, chi li misura con categorie vecchie, non fa altro che chiudere le porte al possibile.
Lo spazio scenico della vita: essere attori e autori
Ogni corpo è scena. Ogni gesto è drammaturgia. La motilità, la spazialità, la corporeità sono sfumature di un unico atto: l'essere nel mondo. I giovani non recitano ruoli scritti da altri. Inventano, improvvisano, sbagliano, riscrivono. E in questo c'è la loro forza. Non sono spettatori della realtà: sono attori e autori. E chi non li comprende, chi li vuole solo spettatori, li tradisce.
Come nel teatro, come nella pittura, come nel cinema, il mondo si dispiega nel gioco di luci e ombre. Il contingente diventa forma infinita, come scriveva Merleau-Ponty. E i giovani sono lì, in quel gioco, a cercare senso, a creare bellezza, a sfidare il visibile per far emergere l'invisibile.
Arte come sguardo sull'essere
L'arte, il cinema, il teatro non sono solo estetica. Sono ontologia. Sono sguardi aperti sull'essere. Sono il luogo dove il mondo si rivela, dove l'altro appare, dove la reciprocità si fa carne. I giovani lo sanno. Lo vivono. Lo cercano. E chi non li comprende, chi li deride, chi li teme, non vede che stanno facendo ciò che la filosofia più profonda ci insegna: reimparare a vedere il mondo.
Un monito per chi non vuole capire
Non si può comprendere i giovani se non si accetta di essere raggiunti da loro.
Se non si accetta di essere messi in discussione, di essere attraversati, di essere trasformati dalle loro esperienze e motivazioni. Non si può parlare di futuro se si continua a negare il presente che loro incarnano. Non si può educare se non si è disposti a imparare.
I giovani non sono il problema. Sono la domanda. Sono il possibile. Sono il prolungamento del reale. E chi non li comprende, chi li chiude, chi li zittisce, non fa altro che spegnere la luce sul mondo che nasce. Abbiatene cura!

C'è un'idea che attraversa il pensiero occidentale come una linea sottile, quasi invisibile: che il lutto sia un processo finito, un lavoro da compiere, una ferita da chiudere. Freud lo chiamava "Trauerarbeit", lavoro del lutto: un'elaborazione psichica che ci permette di sciogliere l'investimento affettivo verso ciò che abbiamo perduto,...
C'è una saggezza antica nei gesti piccoli. Una saggezza che la nostra epoca, ossessionata dalla performance e dalla diagnosi, tende a dimenticare. Eppure, a volte, basta una vite che scorre avanti e indietro su una matita per restituire a un ragazzo il diritto di pensare a modo suo.
Nel silenzio scultoreo di Yoan Capote, la carne si fa pensiero. E viceversa. Le sue opere non si limitano a rappresentare il corpo: lo decostruiscono, lo interrogano, lo sovvertono. In una delle sue serie più provocatorie, Capote sostituisce i genitali maschili con un cervello umano. Non è una provocazione gratuita, ma un gesto chirurgico, quasi...




